Alpinismo, i 75 anni della Graffer Loss: oggi i giovani sono impazienti
TRENTO Sono passati settantacinque anni da quando è stata fondata, ma la Scuola di alpinismo e scialpinismo «Giorgio Graffer» di Trento ha ancora molto da insegnare a chi si vuole avvicinare alla montagna e ai suoi segreti. Ed è per questo che per spegnere le 75 candeline del 2015, gli istruttori hanno intenzione di festeggiare con tutta la cittadinanza, il 27 settembre, commemorando l’alpinista e pilota Giorgio Graffer, a cui è stata dedicata la scuola fondata nel 1941. C’è ancora tempo per liberarsi dagli impegni, ma nel frattempo è interessante ripercorrere brevemente la storia e ricordare lo spirito di una scuola che, grazie ai suoi 55 istruttori (o aspiranti tali) e a 5 guide, ogni anno attrae decine di curiosi ed appassionati.
«Già negli anni ’30 — racconta il direttore della scuola, Mauro Loss — il Club alpino italiano (Cai) ha iniziato a portare in giro le persone in montagna nelle sue sezioni di Trento, Torino e Trieste. Qualche anno dopo, quando il capitano Graffer morì nei cieli dell’Albania nel 1940, i suoi amici hanno deciso di dedicargli una scuola di roccia a Trento, facendo partire il primo corso nel 1941. Avevano infatti pensato che non ci si potesse limitare a portare in montagna le persone, ma fosse insegnare loro come farlo». Il corso si è poi fermato a causa della guerra, ma è stato riproposto già nel 1946. Vent’anni più tardi è stato creato un secondo corso di roccia, quello primaverile, che è stato affidato agli istruttori del neoistituito Gruppo rocciatori della Sat. Nel 1974 e nel 1985 sono nati rispettivamente un corso di ghiaccio e alta montagna, gestito dalla Sosat, e uno base di scialpinismo. «Un’altra data significativa è il 1991 — racconta Loss —, quando Sosat, Susat e il Gruppo rocciatori hanno rinunciato alle loro competenze e affidato la gestione dei corsi alla scuola, che prima fungeva da ombrello o etichetta, e che da allora si è dotata di un proprio statuto».
Fin dalla loro istituzione, i corsi hanno attratto ogni anno decine di appassionati. «I quattro annuali, ai quali è stato aggiunto nel 1997 uno di alpinismo avanzato che viene organizzato ogni due anni, sono sempre al completo — dice il direttore —. Negli anni, però, i nostri allievi sono cambiati. Sono più eterogenei, sia per classe sociale che per origine, e pretendono di più da noi istruttori. Sono più interessati, fanno tante domande. Per noi è davvero un ambiente stimolante. Devo dire, però, che incontriamo una piccola difficoltà con le nuove generazioni: l’idea che si possa avere ed imparare tutto e subito. Ma questo atteggiamento non è sostenibile quando si va in montagna».
Frequentando le lezioni, gli allievi hanno la possibilità di apprendere nozioni tecniche sull’arrampicata e lo scialpinismo, ma non solo. «Noi istruttori cerchiamo di trasmettere altre tre cose — racconta Dario Sebastiani, che da anni fa parte dell’organico della scuola —. Primo, la passione. Io personalmente mi sono avvicinato alla montagna fin da piccolo, e a 18 anni, quando i miei genitori me l’hanno permesso, ho iniziato a fare roccia. Da allora ho imparato molto, soprattutto il “senso della montagna”. È questa un’altra cosa che cerco di trasmettere ai miei allievi e che potrebbe essere descritta come il sentirsi in sintonia con la montagna, l’essere capace di riconoscerne i pericoli istintivamente. Mentre faccio lezione, mi piace anche insegnare agli allievi la storia dell’alpinismo: raccontare chi è salito per primo su una cima, come, con che materiali e in che condizioni».