DA ROSMINI A PAPA FRANCESCO I DUE RIFORMATORI «PROIBITI»
«Paghino le tasse le strutture religiose che lavorano come un albergo»: l’esortazione di papa Bergoglio fatta in questi giorni scuote ancora gli interessi della Chiesa e non può che essere pienamente accolta da tutti, sperando che abbia un deciso seguito. L’attuale Papa non è comunque il primo a insistere sull’argomento. Il mese scorso, per il 160° anniversario della morte di Antonio Rosmini (Rovereto 1797–Stresa 1855), la rivista «Mondoperaio» aveva ospitato una lunga recensione al libro di Michele Dossi «Il santo proibito» (edizione «Il Margine») e sul sito www.socialistitrentini.it ne era stato riportato un richiamo sotto il titolo «Da Rosmini a Bergoglio». Tale accostamento aveva un senso preciso, confermato ora pienamente dall’ammonimento del Papa. Dedicato alla vita e al pensiero di Rosmini, il libro si sofferma sulla sua opera rosminiana più nota «Delle Cinque Piaghe della Santa Chiesa». Di queste, la quinta è quella di più intrigante attualità: si tratta de «la servitù de’ beni ecclesiastici». Quest’ultimi — scriveva allora Rosmini — avrebbero due sole finalità legittime: il sostentamento del clero, che non doveva andare oltre «lo stretto bisogno», mentre tutto il resto andava utilizzato per il «sollievo degl’indigenti». Se la Chiesa abusa dei suoi beni e accetta privilegi e immunità dal potere politico, è in grave pericolo. «La Chiesa primitiva era povera, ma libera» argomenta Rosmini e trattava le ricchezze con prudenza secondo la massima «della facilità in dare e della difficoltà in ricevere». Ora invece si accettano, oltre ai beni, anche protezioni esagerate dal potere politico, come l’esenzione dalle imposte. Se con tali esenzioni sui beni ecclesiastici si provvedesse allo stretto mantenimento del clero «o il di più si desse a’ poveri», non sarebbe un favore iniquo alla Chiesa, precisava Rosmini. «Ma trattandosi di beni eccedenti tali bisogni...è ragione che paghino come tutti gli altri». La conclusione di Rosmini era che la Chiesa non ha bisogno di privilegi e di protezioni, ha bisogno solo della sua libertà: «è scoccata l’ora in cui impoverire la Chiesa è un salvarla». Da qui si capisce perché allora Rosmini venne considerato dagli ambienti curiali un riformatore ecclesiale «proibito». Un secolo e mezzo dopo la sua morte, nel 2007, la Chiesa lo «beatificò». Se ora papa Bergoglio passerà dalle parole ai fatti sarà un avvenimento buono per tutti.
una cosa è certa: il pontificato di papa Francesco sarà ricordato a lungo. L’ultima sua riflessione sul pagamento dell’Imu per le strutture ecclesiastiche che lavorano come fossero hotel è un altro tassello, condivisibile, verso una normalizzazione della Chiesa. Il pontificato di Bergoglio si sta svelando giorno dopo giorno, con un Papa che parla sempre più alla gente e sempre meno alla curia. Proprio per questo sta creando crescenti imbarazzi nelle alte sfere. Lui ne è consapevole tanto da affermare: «Mi chiedo come sarà la mia croce. Anche Gesù a un certo punto era molto popolare ed è finito come è finito». Trovo pertanto azzeccato il paragone con Antonio Rosmini, altra epoca ma stessa concezione del ruolo della Chiesa, che non «ha bisogno di privilegi e protezioni».
Lascio ai teologi analizzare e giudicare la politica papale in atto che potrebbe apparire molto di facciata e meno di sostanza. Da uomo comune sono grato a Bergoglio dello sforzo profuso nel provare a essere il capo di una Chiesa aperta. Già l’imminente Sinodo sulla famiglia ci dirà se la strada intrapresa è quella giusta o meno.