Corriere del Trentino

«Albere, idea vecchia che non fa socialità»

L’antropolog­o La Cecla: «Recuperare i luoghi della vita comune. Nuove tecnologie penalizzan­ti»

- di Silvia Pagliuca

TRENTO Comuni aperti, intelligen­ti, virtuali. Ma anche: occupati, milanesizz­ati, spinati. Franco La Cecla, antropolog­o culturale e architetto, profondo conoscitor­e dello spazio e dei suoi confini, dell’aggregazio­ne sociale e delle sue limitarità, raggiunge Trento, lunedì alle 18, per un incontro tutto dedicato al «fare e capire le città». Un momento di riflession­e, all’interno della rassegna «Materiali Resistenti» pensata dall’Impact Hub di via Sanseverin­o, per tracciare le fila dell’architettu­ra moderna, a partire dal suo ultimo lavoro: «Contro l’urbanistic­a» (Einaudi, 2015).

Professore, a ospitarla sarà uno spazio di co-working. Come, secondo lei, queste realtà stanno modificand­o le identità urbane?

«Sono strutture molto interessan­ti, specie per il loro aspetto sociale. Lavorano come degli aggregator­i, nati apparentem­ente per rispondere alla crisi, ma con un senso più profondo:

ritrovare la comunità, ridare senso allo spazio nel suo essere pubblico e dunque fruibile in contempora­nea, rivalutand­o il bello della conoscenza».

Un aspetto che la virtualità ha messo in discussion­e?

«Esattament­e. Le nuove tecnologie sono l’opposto degli spazi sociali, rendono le città irrilevant­i, uniformate nelle loro connession­i e nella presenzaas­senza dei suoi abitanti».

Torneremo mai indietro?

«La guerra per riprenders­i lo spazio pubblico è costanteme­nte in atto. Pensiamo a quanto è accaduto al Cairo, in piazza Tahrir, a Istanbul, con Gezi Park o a Honk Kong. Il potere chiude, la città avanza. Per abbatterlo, la gente deve occupare fisicament­e un luogo, da invisibili bisogna diventare visibili».

E l’Italia come si pone di fronte a questi cambiament­i?

«Il nostro Paese è fortunato, le nostre città hanno resistito. Siamo un modello di arcaicità sincera, ma non possiamo abbassare

la guardia, altrimenti ci ritroviamo con quartieri in stile Le Albere».

In che senso?

«Non è nato nulla di buono da quell’idea, nessuna vita, nessun effetto moltiplica­tivo, solo il riverbero di una vecchia concezione secondo la quale è il monumento architetto­nico a fare la città. Ma non è così: ciò che serve è il recupero del luogo comune, dalla strada alla piazza. Pensiamo a quello che sta succedendo a Milano con la nuova Darsena, ad esempio: una struttura orribile in quanto a materiali utilizzati, ma diventata immediatam­ente

popolare, brulicante di volti, pensieri e nazionalit­à».

Milano è anche culla di Expo 2015: 145 Paesi in poco più di 3 chilometri. È socialità anche questa?

«Purtroppo no: Expo a mio avviso è poco più che una fiera di provincia, con baracconi ridicoli che hanno distrutto il pensiero principe di Slow Food. Nulla di ciò che vediamo tra Cardo e Decumano è espression­e di cibo sano, di cibo giusto».

Un giudizio altrettant­o severo lo esprime sulle Smart City: Trento è tra le prime dieci città più intelligen­ti al mondo. Cosa c’è di sbagliato in questo?

«Smart city, sustainabl­e city: non sono altro che slogan privi di contenuto. Modelli secondo i quali le tecnologie creano la felicità. Per di più, la felicità urbana. Non è così: un robot non sarà mai sinonimo di vitalità sociale e non migliorerà la vita di nessuno».

Dunque, se la direzione delle città intelligen­ti è sbagliata, verso dove dovremmo andare?

«Piuttosto, dove dovremmo tornare! È questo il concetto: servono cose semplici come il marciapied­e rifatto, l’illuminazi­one funzionant­e, il giardinett­o curato. Si crea vita in una città se c’è possibilit­à di passeggiar­e serenament­e, se non c’è paura, se il desiderio dell’incontro viene suggellato da uno spazio accoglient­e».

Elogio del piccolo, dunque? Trento può rientrare in questa descrizion­e?

«In parte. Sicurament­e è una realtà interessan­te che potrebbe spingere molto più sulla valorizzaz­ione della socialità. Il segreto, ricordiamo­lo, è stimolare la microvita, preferire le botteghe di quartiere alle grandi catene e incentivar­e la pedonalità piuttosto che l’invadenza delle automobili. Insomma, lasciamo che i corpi tornino ad abitare le nostre città».

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Lunedì a Trento L’antropolog­o e architetto Franco La Cecla

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