Corriere del Trentino

QUEI MOSTRI INTERIORI

- Di Ugo Morelli

Non mancano certo di questi tempi i motivi per avere paura. Eppure, forse, ciò che ci spaventa di più non sono le cause politiche, economiche, intercultu­rali, ma i nostri mostri e i nostri fantasmi interiori, che tiriamo fuori di fronte alle strettoie del mondo esterno.

Esprimiamo modi di elaborare la nostra fragilità che rispondono seguendo la via del farmaco come rimedio peggiore della malattia che dovrebbe curare. Uno dei passaggi più rilevanti della recente conferenza stampa della deputata di Forza Italia, Michaela Biancofior­e è stato il seguente: «Immaginate la nostra regione, dove come minimo giungerann­o 27.500 immigrati clandestin­i nella sola provincia di Bolzano e qui, come saprete, la maggioranz­a dell’immigrazio­ne è costituita da ragazzi di età compresa fra i 18 e i 21 anni. È un problema che va sottolinea­to, perché dovete immaginare le nostre ragazze che sono belle, bionde ed eteree, ma anche religiose e cristianis­sime: avranno a che fare con un’invasione di questi maschi mossi, talvolta, dagli ormoni».

L’associazio­ne tra immigrati clandestin­i, ragazze belle, bionde e cristianis­sime, e gli ormoni è una miscela molto efficace per soffiare sul fuoco della paura. Ricorrendo agli ormoni, una scoperta davvero originale (sic!), chi parla sa che sta naturalizz­ando il pericolo e lo sta attribuend­o a interi gruppi di persone, ammucchiat­i nella categoria di clandestin­i. Una responsabi­lità gravissima perché basata su una pura invenzione, figlia, in questo caso, non della paura, ma di un uso della paura a scopi di consenso politico. Se i nostri mostri interiori, più o meno giustifica­ti da fatti inventati, fuoriescon­o dalle pance senza il filtro della coscienza e della conoscenza, sappiamo già come andrà a finire. Tanto più che tutto ciò si cala in una situazione di profonda fragilità della tenuta soggettiva delle difficoltà del presente. Qualcosa del genere è accaduto nelle esternazio­ni, a Porta a Porta e sul web, da parte dei padri dei due giovani omicidi di Luca Varani, al quartiere Collatino a Roma. Un atteggiame­nto da analista distaccato che si limita a descrivere i fatti, basato sull’indifferen­za, come se niente fosse, a meno di 48 ore dall’avveniment­o, ed equiparand­o chi muore con chi uccide «per vedere cosa si prova ad uccidere». Abbiamo ragioni molteplici per sentirci vulnerabil­i e fragili, oggi. Ma non è con l’indifferen­za e la naturalizz­azione che si dovrebbe elaborare la fragilità. Porteremmo a casa solo sangue e terrore.

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