Il pm: «Campiglio, Pantani fu fermato dalla camorra»
Le indagini della Procura di Forlì. L’ex campione Moser: «Ricostruzioni fantasiose»
Un giro di scommesse e l’ombra della camorra: ci sarebbe questo dietro al caso di Marco Pantani e al Giro d’Italia del 1999. Diciassette anni dopo, si riapre la questione: si parla di analisi del sangue alterate. «Ricostruzioni fantasiose» taglia corto Francesco Moser.
TRENTO A distanza di 17 anni uno dei più grandi misteri dello sport ha forse trovato la verità. Un giro di scommesse e l’ombra della camorra.
Ci sarebbe tutto questo dietro al caso Marco Pantani e al Giro d’Italia del 1999. Una «cimice» nell’abitazione di un camorrista e le indagini della polizia giudiziaria della Procura di Forlì, guidata dal procuratore Sergio Sottani, hanno portato alla luce nomi e cognomi, svelando quanto accaduto, secondo la ricostruzione degli inquirenti, quella mattina del 5 giugno 1999 nell’hotel Touring di Madonna di Campiglio, alla vigilia dell’ultima tappa con Gavia, Mortirolo e arrivo all’Aprica. Il Pirata era stato fermato per un tasso ematocrito superiore alla norma, 52,5 per cento contro un massimo consentito di 50, stabilito dalle norme dell’epoca dell’Uci, la federciclismo mondiale.
Pantani, in maglia rosa, era stato escluso dal Giro d’Italia e questo è stato l’inizio della fine sportiva e umana dello scalatore di Cesenatico. Ma ora su quel controllo affiora un’altra verità. È lo stesso procuratore a scriverlo: «Un clan camorristico minacciò un medico per costringerlo ad alterare il test e far risultare Pantani fuori norma». Parole che in questi anni si erano sentite più volte, ma ora è un procuratore a scriverlo nero su bianco. La famosa frase era stata pronunciata dal bandito Renato Vallanzasca in carcere («Un membro di un clan camorristico in carcere mi consigliò fin dalle prime tappe di puntare tutti i soldi che avevo sui rivali di Pantani. “Non so come, ma il pelatino non arriva a Milano. Fidati”»).
Il gangster milanese ne aveva parlato nel 2008 e qualche mese dopo anche la madre di Pantani, Tonina Belletti, raccontò di telefonate minaccio-non se. Il 16 ottobre 2014 la Procura di Forlì ha deciso di riaprire l’inchiesta sull’esclusione di Pantani da Campiglio ipotizzando l’associazione a delinquere finalizzata alla frode e alla truffa sportiva. Indagine che era stata già svolta dalla Procura di Trento e dall’allora pm Marco Gallina, poi archiviata. Secondo quanto ricostruito dai magistrati di Forlì, che hanno sentito decine di persone, dietro al caso Pantani c’era un giro di scommesse per miliardi di lire che la camorra poteva perdere. Da qui il progetto di alterare il controllo del sangue. I magistrati hanno ricostruito la catena di comando e i mandanti dell’operazione, alla fine, però, non hanno potuto fare niente altro che chiedere l’archiviazione in quanto i reati sono prescritti. Il caso resta aperto sul fronte civile e sportivo. I legali della famiglia Pantani sono già al lavoro per capire se è possibile intentare qualche azione. «Nell’atto della Procura si ridisegnano in maniera incontrovertibile i fatti di Campiglio» ha sottolineato l’avvocato della madre di Pantani, Antonio De Rensis. Non ci saranno conseguenze per i presunti attori della truffa, almeno sul fronte penale, l’inchiesta, però, ridisegna la storia.
Ma l’ex campione mondiale di ciclismo, Francesco Moser, è dubbioso. La tesi del giro di scommesse e dell’ombra della camorra non convince l’ex ciclista trentino. «Sono ricostruzioni fantasiose — commenta — si sarebbe saputo, mi pare che si stia giocando con la fantasia. A quei tempi non c’era niente, è accaduto tutto dopo». E le scommesse? «Non c’erano, se poi c’erano scommesse clandestine questo non lo so,ma mi sembra tutto inverosimile».