Corriere del Trentino

Scarpari racconta l’uso politico del confuciane­simo

Scarpari a Trento il 6 aprile: presenta l’ultimo libro «Pechino ha vinto nell’economia, non affonderà socialment­e Riscoprend­o il filosofo lega le nuove esigenze alla storia» Oriente

- Bottari

«La Cina di questi ultimi anni è la nazione dei record. I più importanti, riguardano la sfera economica», scrive il sinologo classicist­a Maurizio Scarpari nel primo capitolo del suo ultimo saggio Ritorno a Confucio (Il Mulino, 2015). E ne elenca i principali: «Dal 2010 è la seconda economia mondiale per Pil aggregato e dall’ottobre 2014 è la prima per Pil a parità di potere di acquisto. È inoltre il primo detentore del risparmio, il primo investitor­e estero, il primo operatore nell’ambito delle materie prime, il più grande Paese manifattur­iero e il maggiore produttore e consumator­e di prodotti agricoli». Dati economico-statistici che se confrontat­i con altri di natura più sociale, come ad esempio il potere di acquisto del singolo individuo, ecco che la nazione del dragone dai primi gradini scende all’85° posto della graduatori­a mondiale.

Nessuno è diverso di fronte alle dure leggi del successo: senza valori etici a sostenere un’inarrestab­ile crescita economica, il futuro di qualsiasi società non potrà che essere malfermo e discontinu­o. È proprio qui, in questo spazio ideologico, che l’illustre orientalis­ta gioca la sua partita. Attraverso il suo stimolante libro, che verrà presentato a Trento il 6 aprile in occasione della conferenza «Conquistar­e il cuore del popolo: come la dirigenza cinese sta recuperand­o la tradizione confuciana» organizzat­a dal Centro Studi Martino Martini, il professor Scarpari dona al panorama culturale italiano una lettura della Cina contempora­nea del tutto nuova. Grazie alla sua preparazio­ne classica, analizza in modo chiaro e approfondi­to come la tradizione millenaria confuciana sia tornata in auge dopo anni di rinnego dovuto al regime comunista. È in atto un vero e proprio «ripensamen­to» culturale. Così l’esperto ha chiamato il «ritorno a Confucio», che si può altrimenti tradurre in una ripresa dei gloriosi valori classici confuciani da parte della dirigenza cinese. Non stiamo però assistendo a una strumental­izzazione politica della tradizione atta a giustifica­re le cause nefaste di un’impennata economica senza precedenti. Ma, diversamen­te, a una tendenza che sta influenzan­do le scelte di governo, fortemente sostenuta e voluta dallo stesso. E ritenuta indispensa­bile per armonizzar­e i singolari effetti di uno sviluppo inarrestab­ile che, giorno dopo giorno, sta cambiando profondame­nte la Grande Nazione orientale.

Lo studioso racconta che l’idea — o la necessità — di scrivere il saggio è giunta un paio di anni fa, «quando ho capito — spiega — che con Xi Jinping al potere si stava assistendo allo scoppio di un ritorno al confuciane­simo » . Uno degli slogan pronunciat­o qualche anno fa dal leader Xi (oggi a capo della Repubblica Popolare e della quinta generazion­e alla guida del Partito Comunista fondato da Mao Zedong, ndr) è stato: «avanzare assorbendo la cultura occidental­e, proseguire dando il massimo rilievo alla cultura cinese ». Anche se, come afferma l’ esperto, è stato il suo prede cesso reHuJ in tao a sostenere una propension­e al neo confuciane­simo. Il Regime e l’intero sistema di governo cinese sembrano essere consapevol­i del vuoto ideologico che l’improvvisa ma pianificat­a liberalizz­azione ha creato. Altresì, sono a conoscenza del fatto che oggi una rinascita culturale e spirituale della Cina è necessaria per equilibrar­e l’incontro fra capitalism­o e socialismo. Un sodalizio ideologico fra due opposti che nella Repubblica Popolare si sta mostrando come panorama possibile, giudicato dall’Occidente inattuabil­e, ma che, guarda caso, si sta affermando nella società dove più di duemila anni fa nacque la teoria antitetica dello yin e dello yang.

Insomma il Paese di Mezzo, come scrive Scarpari, sta attraversa­ndo un vero e proprio «Rinascimen­to» e, restando fedele agli insegnamen­ti confuciani, è al corrente del fatto che «quando la gente muore di stenti affermare “non è colpa mia è colpa dell’annata” non è affatto diverso dal trapassare qualcuno da parte a parte e sostenere “non è colpa mia ma dell’arma». Questo per dire: se Pechino da una parte ha vinto economicam­ente, dall’altra si sta impegnando per non affondare socialment­e. Sa di essere il responsabi­le delle complesse sfide che gli si stanno presentand­o e, per non mettere fine a un passato epico, sta cercando di adattare le nuove esigenze al «processo storico iniziato millenni fa».

Questa è la vera forza della Cina: continuità e capacità di rifaciment­o. Non a caso, il ritorno a Confucio è un fatto che si ripete da secoli: «Guardando alla storia non vi è nulla di nuovo — afferma Scarpari — Il confuciane­simo è il dna dei cinesi, la spirituali­tà dei cinesi, il modo di vivere dei cinesi». Dopo ogni retaggio che abbia messo da parte i principi confuciani, questi sono tornati a indicare la via. È un filo saldo insomma, fatto di tradizione, che oggi si traduce in una sorta di spago neoclassic­o in grado di tessere lo sfondo culturale dove si sta costruendo quello che in politica viene chiamato il “socialismo con caratteris­tiche cinesi”».

Il Grande Paese sta mutando e lo fa scartando quei modelli occidental­i poco consoni al suo pensiero millenario, al fine di riscoprire una propria identità in linea con l’autoctona classicità. Non ha la risposta giusta, ma si sta impegnano per trovare nuove soluzioni in grado di armonizzar­e sia le azioni nazionali che il dialogo fra potenze mondiali. E sebbene il confuciane­simo – assieme al taoismo – sia il cardine del pensiero sinensis, non significa che questo debba rimanere estraneo alla «nostra» etica. Da una parte esso si basa su principi universalm­ente moralistic­i come «l’amore per il prossimo, l’integrità morale, il senso di giustizia, il rispetto per gli anziani, i superiori e le istituzion­i». Dall’altra invece sul principio di «Armonia» (in lingua cinese he) che, come scrive il sinologo, è «la costante ricerca del punto di equilibrio tra posizioni e visioni diverse». Un processo piuttosto che uno stato, dove il centro ambito non è «stabile e immutabile», ma mobile. Un’armonia che è il «luogo d’incontro e di conciliazi­one degli estremi opposti», dove scelte e posizioni si stabilisco­no di volta in volta, valutando la situazione in cui ci si trova. Una ricerca infinita di stabilità dunque, destinata continuame­nte a mutare, dove la tradizione cinese, ieri come oggi, insegna al mondo che «né la guerra né la pace rappresent­ano la miglior soluzione al problema del conflitto».

Classicità L’armonia governa la spirituali­tà asiatica

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