Corriere del Trentino

«Islam plurale, la politica trovi soluzioni»

L’analisi del sociologo Jabbar. Raffaelli: solo i musulmani sconfigger­anno il terrorismo

- Ferro, Rossi Tonon

Giusto il richiamo dell’arcivescov­o Bressan («I leader musulmani alzino la voce»), ma c’è di più. Per Mario Raffaelli, presidente di Amref, «il terrorismo può essere sconfitto solo dai musulmani. Torniamo all’esperiment­o del governo Amato, di dialogo e non ghettizzaz­ione». Il sociologo Adel Jabbar aggiunge: «L’Islam è plurale, ciò è una difficoltà e una ricchezza. La politica lo comprenda anche nell’esplicitaz­ione dei diritti».

TRENTO «Semplifica­re non sempre aiuta a capire». Alì Adel Jabbar è lapidario ma una battuta può bastare per fotografar­e un’epoca. Esistono contesti complessi per natura, in cui impegnarsi è l’unico modo per comprender­e e non si tratta di arretrare o cedere ma al contrario di avanzare. I nuovi equilibri tra la cultura occidental­e e quella islamica, secondo il sociologo dei processi migratori e intercultu­rali, vivono di questa complessit­à. Sullo sfondo rimangono l’Europa, gli attentati terroristi­ci, la crisi economica e valoriale che impegnano da una parte alla responsabi­lità di definire una via di sviluppo adeguata e dall’altra una profonda maturazion­e.

Professore, in questa Europa in trasformaz­ione chi è veramente sotto attacco?

«Ormai è opinione diffusa che ci troviamo di fronte a uno scontro fra civiltà, in realtà questa lettura è forzata e confutabil­e. Da decenni le aree geografich­e più colpite da conflitti sono quelle abitate dalla popolazion­e musulmana: Libia, Siria, Iraq, Afghanista­n, Somalia e la zona sud sahariana. Aree in cui viene meno l’ordine, più fragili, dove attori politici di varia portata si trovano in competizio­ne. La posta in gioco è molto più complessa di quello che appare e non credo sia sufficient­e scomodare il Corano o la religione islamica per comprender­e. Ma quei Paesi nascono da una spartizion­e tra Francia e Inghilterr­a avvenuta dopo la Prima guerra mondiale oppure grazie alla collaboraz­ione con il mondo occidental­e, del quale molti sono fedelissim­i partner commercial­i».

Qual è, allora, la responsabi­lità del mondo islamico?

«Non credo che i musulmani siano maturi per capire la complessit­à di questo quadro, non sono ancora in grado di sviluppare una competenza analitica per farlo. Da anni sono presi di mira e devono affrontare la questione, non più riducendol­a a una difesa di se stessi e mantenendo al centro della discussion­e le dottrine sacre. Scomodando il testo, che spesso non c’entra niente, dimentican­o il contesto».

Esiste però un problema di organizzaz­ione e leadership del mondo islamico in Europa, non crede?

«Manca un vero ragionamen­to sulla presenza dell’Islam, che viene visto ancora come un’emergenza o legato alla sicurezza, e le istituzion­i pubbliche dovrebbero interessar­sene veramente. Ciò che viene percepito come una frammentaz­ione è allo stesso tempo pluralismo, una caratteris­tica che da sempre contraddis­tingue l’Islam».

Questo però ha ricadute concrete, per esempio alimenta i dubbi sulla gestione di una moschea dopo la sua costruzion­e, non è così?

«È vero, è un problema non di poco conto. Molte organizzaz­ioni islamiche sono ad esempio legate ai paesi di provenienz­a e ciò apre la questione di una partecipaz­ione delle persone alla vita europea. In altri casi si tratta di gruppi legati a movimenti diversi. In Europa si sente la necessità di avere un rappresent­ante unico, ma per l’islam non esiste. Non c’è una figura che rappresent­i nemmeno la metà delle diverse realtà. Però ci troviamo di fronte al diritto di culto previsto dalla Costituzio­ne, che andrebbe dunque garantito, ed è quindi compito della politica capire la portata di questo pluralismo e risolvere la questione individuan­do degli interlocut­ori».

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Sociologo Alì Adel Jabbar, esperto di processi migratori

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