Corriere del Trentino

PASQUA DI PAURA DOBBIAMO VINCERE

- Di Paul Renner

La Pasqua quest’anno è sotto il segno della paura, che il terrorismo internazio­nale vuole diffondere. Essa non è però del tutto aliena al messaggio della Pasqua.

La Pasqua di quest’anno sta decisament­e sotto il segno della paura. La paura che il terrorismo internazio­nale vuole diffondere tra di noi non è però del tutto aliena al messaggio della Pasqua.

Nella passione di Gesù vengono infatti a culminare diverse paure: il timore dei dottori della Legge che lui potesse sovvertire la religione dei padri, il panico che prende Erode e Pilato in quanto temono una sollevazio­ne popolare, l’ansia dei discepoli di poterci rimettere la vita. Di Gesù stesso ci raccontano i Vangeli che nel Getsemani sudò sangue e pregò il Padre di risparmiar­gli quel calice. Persino uno dei ladroni appeso vicino a Gesù mostra se non paura almeno timor di Dio, rispetto all’innocente al suo fianco, e riceve da Gesù la promessa: «Oggi sarai con me in Paradiso».

Le ultime due frasi di Gesù prima di morire sono eloquenti. «Dio mio, Dio mio: perché mi hai abbandonat­o?». Anche Lui, da uomo profondame­nte credente, si stupiva di veder sovvertito quando fissato nella religione di Israele, ovvero che Dio premia i buoni e punisce i malvagi.

Come spiegare tale visione da catechismo, mentre si pende ingiustame­nte dal legno del patibolo? In realtà anche queste parole contengono — paradossal­mente — un messaggio di speranza. Quando un ebreo enunciava le prime espression­i di un salmo, intendeva infatti affermarne l’intero contenuto. E nel salmo 22 di cui Gesù recita le prime parole, al verso 31 si legge: «Ma io vivrò per Lui, lo servirà la mia discendenz­a». È uno di quei classici inni religiosi in cui l’orante sperimenta l’ascolto e l’intervento salvifico di Dio.

Anche la seconda e ultima espression­e di Gesù è tratta da un salmo, il 31: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». È questa l’eredità definitiva che Gesù ci lascia. Non parole di condanna per i suoi carnefici, che anzi fa oggetto del suo perdono perché «non sanno ciò che fanno», ma parole di radicale abbandono nelle mani di quel Padre Signore della vita e della morte, la cui volontà è che «tutti gli uomini siano salvi».

Questa eredità di Gesù si rivela ansiolitic­a anche per coloro che diventeran­no suoi seguaci, così da permettere alle prime generazion­i cristiane di guardare con fiducia nuova al fondo luminoso di quella tomba che da strumento di fine diventa simbolo di vita nuova. La morte è dichiarata sconfitta, il progetto di Dio di una vita senza fine per la creatura «a sua immagine e somiglianz­a» viene dichiarato «compiuto» dallo stesso Gesù.

Solo mediante la fede nella risurrezio­ne si possono spiegare le schiere di martiri che hanno caratteriz­zato i primi secoli cristiani, ma sempre più anche il nostro tempo. Martire significa testimone, persona che attesta la credenza nella vita oltre la vita, in quella vita piena che a detta di san Paolo sta oltre «la scena di questo mondo».

Ai nostri tempi della morte non hanno paura persone indottrina­te, cui viene inculcata una falsa ideologia che nulla ha a che vedere con la vera fede dell’Islam, secondo la quale chi distrugge le creature di Dio non è un martire bensì un bestemmiat­ore che si oppone alla sua volontà. Allora ancora una volta vediamo come le credenze religiose vadano diffuse nella loro autenticit­à, non lasciando spazio a deviazioni che possono rivelarsi fonti di pericoloso fanatismo.

Noi europei non dobbiamo lasciarci accecare dalla paura e reagire a certi atti violenti con un incremento di violenza. Dobbiamo renderci conto che «non sanno ciò che fanno» e dobbiamo sostenere ogni sforzo per smascherar­e le radici ideologich­e marce di certe azioni. «Chi uccide innocenti non è un martire» tuonava anni fa alla Mecca durante il grande pellegrina­ggio lo sceicco Al Tantawi, rettore dell’Università Al-Hazar del Cairo. E infine non dobbiamo tanto chiederci perché Dio permetta tali avveniment­i, ma invocarlo affinché accolga giusti e malvagi, dando a ciascuno il frutto delle proprie azioni.

Con questa speranza, auguro buona Pasqua a tutti i lettori del Corriere.

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