«Basta ghettizzazione Riprendere il tentativo del governo Amato»
Raffaelli: solo i musulmani possono battere il terrorismo
TRENTO Un tentativo di unificazione: dei «sistemi di prevenzione e di scambio di informazioni». Ma anche un’iniziativa politica «vera», in grado di risolvere i problemi «alla radice». È quanto dovrebbe fare l’Europa, scopertasi fragile in seguito ai fatti sanguinosi di Bruxelles, secondo Mario Raffaelli, già sottosegretario agli affari esteri e oggi presidente di Amref Italia.
Raffaelli, cosa pensa dell’invito rivolto dal vescovo uscente Bressan agli esponenti musulmani di essere più rigorosi nella condanna degli attentati come quelli di Bruxelles (Corriere del Trentino di ieri)?
«L’appello è condivisibile tenendo presente, però, che il mondo musulmano è composito. Le correnti di pensiero sono diverse e mancando di una gerarchia unificante non esprime un pensiero unico. Favorire una presa di posizione netta dipende molto anche da noi, a seconda di come si risponde al fenomeno del terrorismo. La sconfitta definitiva del terrorismo può nascere solo all’interno del mondo islamico, non con un’azione militare da parte nostra».
L’imam Breigheche invita a non dimenticare i morti dell’altra sponda del Mediterraneo.
«Certo, la grande maggioranza delle vittime del terrorismo, come noto, è musulmana. Ma è chiaro che ci colpisca maggiormente ciò che accade in casa nostra».
Gli attentati di Bruxelles hanno messo in luce ancora un’Europa inerme.
«Di sicuro hanno evidenziato la fragilità dei sistemi di sicurezza del Belgio, dovuta alla particolarità di un Paese che è vissuto un anno e mezzo senza governo alcuno, le cui polizie non parlano fra loro e dove esiste una frattura tra fiamminghi e valloni. Tuttavia questo tipo di aggressione è difficile da prevenire: gli attentatori possono scegliere tempo e luogo, hanno il vantaggio della sorpresa e della motivazione, lo si vede in tutte le realtà in cui il terrorismo si esprime in questi modi».
Si riferisce alla sua esperienza in Somalia?
«Sono stato spesso a Mogadiscio dove, nonostante le difese assolute e i checkpoint da superare, erano stati due fratelli, ad esempio, a rivelarsi dei jihadisti e a farsi saltare in aria in una delle zone più controllate dopo che per due anni avevano gestito un chiosco di bibite».
Che cosa deve fare l’Europa allora?
«Occorre uno sforzo di unificazione dei sistemi di prevenzione, di scambio delle informazioni, di repressione e delle procedure uniche in modo che non ci siano diversità legislative che possano complicare le cose».
A medio e lungo termine invece?
«Serve un’iniziativa politica europea vera, in grado di andare alla radice di questi fenomeni all’esterno. Non si può mettere le popolazioni di una determinata area in condizione di scegliere se rimanere sotto i piedi del dittatore di turno o dei terroristi, bisogna favorire l’evoluzione del quadro politico che consenta un processo di affrancamento loro, non imposto da noi. Poi si devono ripensare i modelli di integrazione, con una presenza sul territorio più disseminata, non ghettizzata. L’Italia dovrebbe riprendere il tentativo fatto 15 anni fa».
Quale?
«Quando Amato era presidente del consiglio si era creato un consiglio nazionale con vari rappresentanti delle comunità islamiche per discutere insieme le politiche da portare avanti per la convivenza».