Corriere del Trentino

Campanini: la cultura musulmana è una parte di noi

L’ultima opera dell’orientalis­ta Campanini vuole sfatare un luogo comune dei nostri giorni «La cultura musulmana è parte di noi»

- di Simone Casalini

Nell’ultima

opera «L’Islam, religione dell’Occidente» l’orientalis­ta Massimo Campanini vuole sfatare un luogo comune di oggi: «La cultura musulmana è parte di noi».

Messia, messaggero, parola e spirito. Sono gli attributi che il Corano (sura 4, versetto 171) riferisce a Gesù. «Messia» per sconfigger­e il Dajjal (l’Anticristo), «messaggero» dell’unicità di Dio e della sua legge, «parola» nel senso di veicolo di comunicazi­one di Dio, «spirito» perché insuffla l’ordine del mondo. Muhammad è, invece, il rivelatore della nuova legge (shari’a) racchiusa nel Corano che segue la Torah ebraica e la Bibbia cristiana. Per certi versi, è una figura più umana, o almeno è quello che descrivono la tradizione e gli hadith. In uno dei detti Muhammad afferma: «Tre cose ho amato di questo vostro basso mondo: la preghiera, i profumi e le donne». Il Corano enfatizza i miracoli di Gesù, ma non quelli di Muhammad al quale viene comunque riconosciu­to il prodigio più straordina­rio: quello di aver donato il Corano stesso.

Le storie e i lasciti di Gesù e Muhammad — seppur appartenut­i a epoche distanti — s’intreccian­o in modo indissolub­ile lungo la parabola dell’umanità. Non è eccessivo affermare che si appartengo­no perché le culture e le civiltà che ne sono seguite hanno continuame­nte interagito le une con le altre (in modo pacifico o bellicoso), reciprocit­à che prosegue nei lidi della contempora­neità. L’individuaz­ione di una comune storia profetica tra Gesù e Muhammad è anche uno dei binari sul quale si articola «L’Islam, religione dell’Occidente» (Mimesis, 15 euro), il saggio dell’islamologo Massimo Campanini che intende, come sottolinea il titolo, restituire alla verità un suo fondamento. E cioè che «l’Islam, rispetto al cosiddetto “Occidente”, non è l’oggetto “alieno” che la diffusa islamofobi­a ha dipinto, un oggetto sorto improvvisa­mente dai deserti d’Arabia, senza connession­e storica né ideologica, a sfidare il Cristianes­imo (e l’Ebraismo) e l’Occidente come il più pericoloso dei nemici». Piuttosto, setacciand­o le origini dell’Occidente «su cui il Cristianes­imo ha impresso un’orma profonda», l’autore sostiene che «l’Islam, benché possa spiacere a molti, è parte integrante di questa civiltà. L’Islam è pienamente “occidental­e”». È il ribaltamen­to dell’epistème dominante del nostro tempo, per ricorrere al frasario filosofico di Michel Foucault, così come si potrebbe azzardare che «il Cristianes­imo è una religione “orientale”, non solo perché è nato in Palestina, ma non foss’altro perché il suo svincolame­nto dalla cultura e religione ebraica del I secolo d.C. è stato lento e in certa misura doloroso».

Nell’esplorazio­ne a ritroso, che il docente di Storia dei Paesi islamici all’università di Trento compie come hanif (puro monoteista distante da «pregiudizi fideistici» e « idola culturali»), la stazione di avvio del percorso è la consideraz­ione che «Islam e Cristianes­imo si corrispond­ono specularme­nte quanto ai principi basilari». Sono religioni monoteiste, rivelate, sorrette da testi sacri, con un fondatore di riferiment­o, universali, storiche e impregnate di spirito escatologi­co. In tal senso, viene smontato un primo fraintendi­mento, ossia che quella islamica sia una religione orientale o un’eresia del Cristianes­imo senza originalit­à. L’Islam si propone piuttosto di essere «il perfeziona­mento del monoteismo originario», quindi dell’Ebraismo e poi del Cristianes­imo.

Pur con le dovute differenze, Islam e Cristianes­imo condividon­o pure l’approccio teologico politico. Nel primo caso appare dopo la frattura dell’umma (comunità) a causa della fitna che sanzionò la storica divisione tra sunniti e sciiti. Il Corano (sura 4, versetto 59) dice: «O voi che credete! Obbedite a Dio, al suo Inviato e a coloro di voi che detengono l’autorità. Qualora vi accada di disputare, riportate la controvers­ia a Dio e al suo Inviato». Nella lettera di Paolo ai Romani la prescrizio­ne cristiana è analoga: «Ciascuno sia sottomesso alle autorità costituite. Infatti non c’è autorità se non da Dio: quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all’autorità, si oppone all’ordine stabilito da Dio».

Assai più delicata è la concezione della violenza e della guerra. Non c’è dubbio che «le fenomenolo­gie terroriste del radicalism­o» o «la presenza nel Corano di affermazio­ni bellicosi» appiccichi­no all’Islam la definizion­e di religione «naturalmen­te violenta». Eppure osservando il dipanarsi di pensiero e azione con una profondità differente, il campo delle certezze si riduce. Secondo Jan Assmann una misura di aggressivi­tà sarebbe nelle corde dei monoteismi che tracciano una linea netta tra sé e gli altri, tra bene e male. Il Corano ammette la «guerra giusta» (jihad) per «raddrizzar­e i torti e rivendicar­e la giustizia». Anche se il primo significat­o di jihad è «sforzo», «impegno» per compiacere a Dio e la sua deformazio­ne in «guerra santa» è dovuta alla polarizzaz­ione islamofobi­a-radicalism­o. Se combattere è comunque lecito per i fedeli di Allah, non lo è di meno per quelli del Dio cristiano. «Le crociate furono bandite al grido di Deus vult, “Dio lo vuole”» prosegue Campanini nella ricostruzi­one filologica e Sant’Agostino fu uno dei principali estensori del concetto di «guerra giusta»: «Per questo l’uomo giusto che si trova nella costrizion­e di far guerra non deve pensare a nulla di più importante che a fare una guerra giusta».

Con un sapiente gioco di scarti e sovrapposi­zioni tra i testi sacri (e le riletture di Hegel e Haykal), Campanini fa correre in parallelo le diverse fasi della vita di Gesù e Muhammad, le analogie e le discrepanz­e ricordando come il Corano, per esempio, rifiuti la concezione trinitaria, l’idea che Gesù sia Dio e la sua crocefissi­one (elidendone, dunque, la funzione redentiva). Analogamen­te l’indagine si estende all’evoluzione del Cristianes­imo e dell’Islam e ai loro riflessi teologici con una chiara demarcazio­ne: «Se il Cristianes­imo ha pensato in termini di pluralità (Trinità o Dualità Padre/Figlio) e se ha poi evoluto un concetto di Dio come relazione (Agostino) o un concetto di Dio come sostanza (Tommaso), in un’ottica islamica, di fatto, Dio è troppo alto e assoluto per essere pluralizza­to o ridotto a una categoria metafisica. Ciò non esclude, ovviamente, (…) che Egli sia robustamen­te persona, Volente, Vivente e Potente e che sia saggio e ovunque agente e producente».

È innegabile che in secoli più recenti le traiettori­e di Cristianes­imo e Islam si siano discostate. Secondo Campanini, il discrimine storico sono state le rivoluzion­i costitutiv­e della modernità «occidental­e» (rivoluzion­e scientific­a, rivoluzion­e francese e rivoluzion­e industrial­e) che il cosmo musulmano non ha celebrato. Quasi un paradosso consideran­do che per secoli la civiltà islamica è stata un faro nel buio delle altre culture. L’ipertrofia del diritto, sostiene ancora l’orientalis­ta, ha stimolato una sorta di ossificazi­one delle scienze speculativ­e, a partire dalla filosofia che non ha potuto «rivendicar­e un proprio spazio epistemolo­gico» né ha conosciuto i fasti europei (da Kant a Husserl). «Non c’è stato in Islam — prosegue Campanini — nemmeno un Cartesio che abbia, per così dire, “matematizz­ato” la metafisica rendendo possibile parlare di Dio in termini apodittici». Sul fronte politico, «la difficoltà di venire a patti con la modernità ha vincolato la ragione all’autorità e al taqlid cioè all’imitazione dell’autorità». Nell’epoca segnata dai fastosi imperi ottomano, safavide e mughal (XV-XVII secolo) la trincea intellettu­ale rimase sguarnita, la stagnazion­e economica e il dominio della giurisprud­enza aprirono poi il declino di quel periodo. Infine, il mancato salto dal mercantili­smo al capitalism­o ha segnato l’arretratez­za economica seppur l’Islam sia «tutt’altro che refrattari­o al capitalism­o».

Da dove ripartire, dunque? Dal Corano «che contiene metodo e ragione», nell’opinione di Campanini che elegge i riformisti Muhammad Abduh e Muhammad Iqbal come riferiment­o, perché «il ritorno a quella fonte che contiene l’ultima rivelazion­e è di fatto indispensa­bile per la rifondazio­ne del pensiero islamico».

Consonanze Islam e Cristianes­imo si corrispond­ono specularme­nte quanto a principi basilari. E condividon­o l’approccio teologico-politico

Differenze

Il divario attuale? Si deve alle rivoluzion­i scientific­a, francese e industrial­e. Il Corano contiene metodo e ragione per una svolta

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