Campanini: la cultura musulmana è una parte di noi
L’ultima opera dell’orientalista Campanini vuole sfatare un luogo comune dei nostri giorni «La cultura musulmana è parte di noi»
Nell’ultima
opera «L’Islam, religione dell’Occidente» l’orientalista Massimo Campanini vuole sfatare un luogo comune di oggi: «La cultura musulmana è parte di noi».
Messia, messaggero, parola e spirito. Sono gli attributi che il Corano (sura 4, versetto 171) riferisce a Gesù. «Messia» per sconfiggere il Dajjal (l’Anticristo), «messaggero» dell’unicità di Dio e della sua legge, «parola» nel senso di veicolo di comunicazione di Dio, «spirito» perché insuffla l’ordine del mondo. Muhammad è, invece, il rivelatore della nuova legge (shari’a) racchiusa nel Corano che segue la Torah ebraica e la Bibbia cristiana. Per certi versi, è una figura più umana, o almeno è quello che descrivono la tradizione e gli hadith. In uno dei detti Muhammad afferma: «Tre cose ho amato di questo vostro basso mondo: la preghiera, i profumi e le donne». Il Corano enfatizza i miracoli di Gesù, ma non quelli di Muhammad al quale viene comunque riconosciuto il prodigio più straordinario: quello di aver donato il Corano stesso.
Le storie e i lasciti di Gesù e Muhammad — seppur appartenuti a epoche distanti — s’intrecciano in modo indissolubile lungo la parabola dell’umanità. Non è eccessivo affermare che si appartengono perché le culture e le civiltà che ne sono seguite hanno continuamente interagito le une con le altre (in modo pacifico o bellicoso), reciprocità che prosegue nei lidi della contemporaneità. L’individuazione di una comune storia profetica tra Gesù e Muhammad è anche uno dei binari sul quale si articola «L’Islam, religione dell’Occidente» (Mimesis, 15 euro), il saggio dell’islamologo Massimo Campanini che intende, come sottolinea il titolo, restituire alla verità un suo fondamento. E cioè che «l’Islam, rispetto al cosiddetto “Occidente”, non è l’oggetto “alieno” che la diffusa islamofobia ha dipinto, un oggetto sorto improvvisamente dai deserti d’Arabia, senza connessione storica né ideologica, a sfidare il Cristianesimo (e l’Ebraismo) e l’Occidente come il più pericoloso dei nemici». Piuttosto, setacciando le origini dell’Occidente «su cui il Cristianesimo ha impresso un’orma profonda», l’autore sostiene che «l’Islam, benché possa spiacere a molti, è parte integrante di questa civiltà. L’Islam è pienamente “occidentale”». È il ribaltamento dell’epistème dominante del nostro tempo, per ricorrere al frasario filosofico di Michel Foucault, così come si potrebbe azzardare che «il Cristianesimo è una religione “orientale”, non solo perché è nato in Palestina, ma non foss’altro perché il suo svincolamento dalla cultura e religione ebraica del I secolo d.C. è stato lento e in certa misura doloroso».
Nell’esplorazione a ritroso, che il docente di Storia dei Paesi islamici all’università di Trento compie come hanif (puro monoteista distante da «pregiudizi fideistici» e « idola culturali»), la stazione di avvio del percorso è la considerazione che «Islam e Cristianesimo si corrispondono specularmente quanto ai principi basilari». Sono religioni monoteiste, rivelate, sorrette da testi sacri, con un fondatore di riferimento, universali, storiche e impregnate di spirito escatologico. In tal senso, viene smontato un primo fraintendimento, ossia che quella islamica sia una religione orientale o un’eresia del Cristianesimo senza originalità. L’Islam si propone piuttosto di essere «il perfezionamento del monoteismo originario», quindi dell’Ebraismo e poi del Cristianesimo.
Pur con le dovute differenze, Islam e Cristianesimo condividono pure l’approccio teologico politico. Nel primo caso appare dopo la frattura dell’umma (comunità) a causa della fitna che sanzionò la storica divisione tra sunniti e sciiti. Il Corano (sura 4, versetto 59) dice: «O voi che credete! Obbedite a Dio, al suo Inviato e a coloro di voi che detengono l’autorità. Qualora vi accada di disputare, riportate la controversia a Dio e al suo Inviato». Nella lettera di Paolo ai Romani la prescrizione cristiana è analoga: «Ciascuno sia sottomesso alle autorità costituite. Infatti non c’è autorità se non da Dio: quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all’autorità, si oppone all’ordine stabilito da Dio».
Assai più delicata è la concezione della violenza e della guerra. Non c’è dubbio che «le fenomenologie terroriste del radicalismo» o «la presenza nel Corano di affermazioni bellicosi» appiccichino all’Islam la definizione di religione «naturalmente violenta». Eppure osservando il dipanarsi di pensiero e azione con una profondità differente, il campo delle certezze si riduce. Secondo Jan Assmann una misura di aggressività sarebbe nelle corde dei monoteismi che tracciano una linea netta tra sé e gli altri, tra bene e male. Il Corano ammette la «guerra giusta» (jihad) per «raddrizzare i torti e rivendicare la giustizia». Anche se il primo significato di jihad è «sforzo», «impegno» per compiacere a Dio e la sua deformazione in «guerra santa» è dovuta alla polarizzazione islamofobia-radicalismo. Se combattere è comunque lecito per i fedeli di Allah, non lo è di meno per quelli del Dio cristiano. «Le crociate furono bandite al grido di Deus vult, “Dio lo vuole”» prosegue Campanini nella ricostruzione filologica e Sant’Agostino fu uno dei principali estensori del concetto di «guerra giusta»: «Per questo l’uomo giusto che si trova nella costrizione di far guerra non deve pensare a nulla di più importante che a fare una guerra giusta».
Con un sapiente gioco di scarti e sovrapposizioni tra i testi sacri (e le riletture di Hegel e Haykal), Campanini fa correre in parallelo le diverse fasi della vita di Gesù e Muhammad, le analogie e le discrepanze ricordando come il Corano, per esempio, rifiuti la concezione trinitaria, l’idea che Gesù sia Dio e la sua crocefissione (elidendone, dunque, la funzione redentiva). Analogamente l’indagine si estende all’evoluzione del Cristianesimo e dell’Islam e ai loro riflessi teologici con una chiara demarcazione: «Se il Cristianesimo ha pensato in termini di pluralità (Trinità o Dualità Padre/Figlio) e se ha poi evoluto un concetto di Dio come relazione (Agostino) o un concetto di Dio come sostanza (Tommaso), in un’ottica islamica, di fatto, Dio è troppo alto e assoluto per essere pluralizzato o ridotto a una categoria metafisica. Ciò non esclude, ovviamente, (…) che Egli sia robustamente persona, Volente, Vivente e Potente e che sia saggio e ovunque agente e producente».
È innegabile che in secoli più recenti le traiettorie di Cristianesimo e Islam si siano discostate. Secondo Campanini, il discrimine storico sono state le rivoluzioni costitutive della modernità «occidentale» (rivoluzione scientifica, rivoluzione francese e rivoluzione industriale) che il cosmo musulmano non ha celebrato. Quasi un paradosso considerando che per secoli la civiltà islamica è stata un faro nel buio delle altre culture. L’ipertrofia del diritto, sostiene ancora l’orientalista, ha stimolato una sorta di ossificazione delle scienze speculative, a partire dalla filosofia che non ha potuto «rivendicare un proprio spazio epistemologico» né ha conosciuto i fasti europei (da Kant a Husserl). «Non c’è stato in Islam — prosegue Campanini — nemmeno un Cartesio che abbia, per così dire, “matematizzato” la metafisica rendendo possibile parlare di Dio in termini apodittici». Sul fronte politico, «la difficoltà di venire a patti con la modernità ha vincolato la ragione all’autorità e al taqlid cioè all’imitazione dell’autorità». Nell’epoca segnata dai fastosi imperi ottomano, safavide e mughal (XV-XVII secolo) la trincea intellettuale rimase sguarnita, la stagnazione economica e il dominio della giurisprudenza aprirono poi il declino di quel periodo. Infine, il mancato salto dal mercantilismo al capitalismo ha segnato l’arretratezza economica seppur l’Islam sia «tutt’altro che refrattario al capitalismo».
Da dove ripartire, dunque? Dal Corano «che contiene metodo e ragione», nell’opinione di Campanini che elegge i riformisti Muhammad Abduh e Muhammad Iqbal come riferimento, perché «il ritorno a quella fonte che contiene l’ultima rivelazione è di fatto indispensabile per la rifondazione del pensiero islamico».
Consonanze Islam e Cristianesimo si corrispondono specularmente quanto a principi basilari. E condividono l’approccio teologico-politico
Differenze
Il divario attuale? Si deve alle rivoluzioni scientifica, francese e industriale. Il Corano contiene metodo e ragione per una svolta