L’INVOLUZIONE DELLA SCUOLA E I PROFESSORI ALL’ANTICA
Chissà quando e chi farà chiarezza nell’intricato panorama della scuola in Trentino. Sulla pelle dei nostri studenti si sono realizzate riforme volte ad annacquarne la preparazione e a favorire i privati: gli istituti professionali che, complice la crisi, hanno visto in tutta Italia un aumento delle iscrizioni, sono stati privatizzati, l’ammissione all’esame di Stato avviene con parametri diversi (e più blandi) rispetto al resto del Paese, i debiti formativi (che sono le insufficienze maturate nelle varie discipline) non devono essere recuperate e le promozioni avvengono quasi in automatico, anche con tre voti negativi, magari in materie fondamentali per il corso di studi frequentato. In più occasioni i vari assessori all’istruzione hanno rivendicato una competenza primaria sull’istruzione: una competenza sempre smentita dalla Corte Costituzionale. Lo dimostrano, ad esempio, le recenti vicende relative alla «buona scuola» renziana. Ecco, ovviamente anche in Trentino, l’alternanza scuola-lavoro per gli studenti, arrivata però in ritardo rispetto al resto d’Italia, con tutta la confusione organizzativa che ne è derivata, così come giunse inesorabile, pur se in ritardo, il voto di condotta considerato nella media scolastica; e arriverà (ancora in ritardo) il concorso per assumere nuovi docenti. La presunta e millantata competenza esclusiva sulla scuola penalizza anche i docenti, i quali non hanno ricevuto gli scatti di anzianità che altrove sono stati riconosciuti, non hanno avuto i 500 euro per aggiornamento e attività culturali. In compenso è stata loro offerta la possibilità (con uno scarso consenso informato) di accedere a un fondo sanitario privato, che mina le fondamenta della sanità come bene comune e crea un’ulteriore, costosa, struttura parallela. La scuola e i docenti sono trattati come burattini da un potere autonomistico autoreferenziale, che curiosamente nega il valore di ogni altra autonomia. Io sono una professoressa all’antica, che crede nell’impegno e nella responsabilità. Quando uno studente di scuola superiore, magari alla vigilia dell’esame di Stato, ignora il significato delle parole di uso comune, è incapace di usare un congiuntivo o una preposizione, esplora con perplessità la carta geografica d’Italia nella ricerca disperata (e vana) di una regione, mi sento smarrita. E preoccupata. I politici che guardano alla scuola come semplice serbatoio di voti, accarezzando le velleità esterofile proprie e di molti genitori, mi auguro non debbano un giorno trovarsi ad avere a che fare con un medico il quale deve ricorrere a Google per sapere cosa voglia dire «fonendoscopio» o con un avvocato che confidi, per la decisione di una causa che li coinvolge, nel favore della giuria.
Gentile professoressa Giugni,
L ei si definisce una professoressa all’antica e in tale classificazione c’è sempre il rischio di un rimpianto del passato che porta a essere ipercritici sul presente. Certo, la scuola italiana e quella trentina sono state sottoposte a un’infinità di riforme spesso improvvisate e mosse da intenti propagandistici, ma ancora oggi gli studenti che escono dai nostri istituti hanno una preparazione superiore a quella di altre nazionalità. Il merito va soprattutto ai docenti all’antica che, fortunatamente, lavorano con passione. Nonostante tutto.