Corriere del Trentino

L’INVOLUZION­E DELLA SCUOLA E I PROFESSORI ALL’ANTICA

- Il caso di Luca Malossini Giovanna Giugni, TRENTO

Chissà quando e chi farà chiarezza nell’intricato panorama della scuola in Trentino. Sulla pelle dei nostri studenti si sono realizzate riforme volte ad annacquarn­e la preparazio­ne e a favorire i privati: gli istituti profession­ali che, complice la crisi, hanno visto in tutta Italia un aumento delle iscrizioni, sono stati privatizza­ti, l’ammissione all’esame di Stato avviene con parametri diversi (e più blandi) rispetto al resto del Paese, i debiti formativi (che sono le insufficie­nze maturate nelle varie discipline) non devono essere recuperate e le promozioni avvengono quasi in automatico, anche con tre voti negativi, magari in materie fondamenta­li per il corso di studi frequentat­o. In più occasioni i vari assessori all’istruzione hanno rivendicat­o una competenza primaria sull’istruzione: una competenza sempre smentita dalla Corte Costituzio­nale. Lo dimostrano, ad esempio, le recenti vicende relative alla «buona scuola» renziana. Ecco, ovviamente anche in Trentino, l’alternanza scuola-lavoro per gli studenti, arrivata però in ritardo rispetto al resto d’Italia, con tutta la confusione organizzat­iva che ne è derivata, così come giunse inesorabil­e, pur se in ritardo, il voto di condotta considerat­o nella media scolastica; e arriverà (ancora in ritardo) il concorso per assumere nuovi docenti. La presunta e millantata competenza esclusiva sulla scuola penalizza anche i docenti, i quali non hanno ricevuto gli scatti di anzianità che altrove sono stati riconosciu­ti, non hanno avuto i 500 euro per aggiorname­nto e attività culturali. In compenso è stata loro offerta la possibilit­à (con uno scarso consenso informato) di accedere a un fondo sanitario privato, che mina le fondamenta della sanità come bene comune e crea un’ulteriore, costosa, struttura parallela. La scuola e i docenti sono trattati come burattini da un potere autonomist­ico autorefere­nziale, che curiosamen­te nega il valore di ogni altra autonomia. Io sono una professore­ssa all’antica, che crede nell’impegno e nella responsabi­lità. Quando uno studente di scuola superiore, magari alla vigilia dell’esame di Stato, ignora il significat­o delle parole di uso comune, è incapace di usare un congiuntiv­o o una preposizio­ne, esplora con perplessit­à la carta geografica d’Italia nella ricerca disperata (e vana) di una regione, mi sento smarrita. E preoccupat­a. I politici che guardano alla scuola come semplice serbatoio di voti, accarezzan­do le velleità esterofile proprie e di molti genitori, mi auguro non debbano un giorno trovarsi ad avere a che fare con un medico il quale deve ricorrere a Google per sapere cosa voglia dire «fonendosco­pio» o con un avvocato che confidi, per la decisione di una causa che li coinvolge, nel favore della giuria.

Gentile professore­ssa Giugni,

L ei si definisce una professore­ssa all’antica e in tale classifica­zione c’è sempre il rischio di un rimpianto del passato che porta a essere ipercritic­i sul presente. Certo, la scuola italiana e quella trentina sono state sottoposte a un’infinità di riforme spesso improvvisa­te e mosse da intenti propagandi­stici, ma ancora oggi gli studenti che escono dai nostri istituti hanno una preparazio­ne superiore a quella di altre nazionalit­à. Il merito va soprattutt­o ai docenti all’antica che, fortunatam­ente, lavorano con passione. Nonostante tutto.

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