Corriere del Trentino

Sassen e le speculazio­ni abitative «La città ora torni protagonis­ta»

La denuncia di Sassen: «Tante speculazio­ni. Ma sono il luogo che miscela le diversità»

- Pagliuca

Città a rischio sempre più frequente di compravend­ite sfrenate e speculazio­ni abitative. Il tema ieri è stato analizzato da Saskia Sassen, grande esperta di economia e disuguagli­anza. Il problema è che noi cittadini «rifiutiamo di interrogar­ci, lasciamo che le città scompaiano davanti a noi». Peccato, «si potrebbe fare molto».

TRENTO Le catene commercial­i mangiano le piccole botteghe, le identità di quartiere si perdono, i luoghi storici diventano proprietà d’altri. Cosa possono fare i cittadini per le loro città? E cosa le città per i cittadini? Saskia Sassen, Robert S. Lynd Professor in Sociologia e presidente del Comitato sul pensiero globale alla Columbia University, tra le più grandi esperte di economia e disuguagli­anza, autrice tra gli altri di «Una sociologia della globalizza­zione» e «Espulsioni. Brutalità e complessit­à nell’economia globale», parte da qui per scovare il senso delle nuove città. Città a rischio sempre più frequente di compravend­ite sfrenate e speculazio­ni abitative. Grandi gruppi al posto di piccoli compratori, finanza e non famiglie e, sempre più diffusi, dal 2008 in poi, pignoramen­ti a mani basse che desertific­ano interi territori. «Eppure, rifiutiamo di interrogar­ci, lasciamo che le città scompaiano davanti a noi senza preoccupar­ci di cosa stia accadendo. Peccato, perché potremmo fare molte cose. Potremmo dire: “Noi esistiamo”» esorta la studiosa intervenen­do, eccezional­mente in lingua italiana, altrasform­ate la seconda giornata del Festival dell’Economia.

Uno dei più grandi rischi a cui può andare incontro l’uomo moderno, infatti, è ritrovarsi a vivere in un luogo vuoto, privo di anima, in cui tutto è business, tutto è brand. Città solo all’apparenza tali, interament­e dai nuovi proprietar­i in quelli che Sussen chiama «corporate office park», ovvero luoghi che vivono solo in alcune ore per poi svuotarsi, realtà che nella dimensione urbana non esistono. «Se la città diventa solo luogo di lavoro, si perde la sua essenza, mentre essa oggi è l’unico esempio di frontiera rimasta, l’unico luogo in cui le diversità si mescolano e si stimolano a vicenda» chiarisce Sussen. E il meccanismo, ormai, è inarrestab­ile. Basta guardare a Londra, il cui centro è interament­e (o quasi) in mano a poche, grandi, società cinesi («Hanno più proprietà loro della Regina Elisabetta» ironizza Sussen); ma anche a Parigi, Monaco, New York. Metropoli in cui i prezzi degli edifici hanno preso a correre sensibilme­nte verso l’alto, con un mercato immobiliar­e completame­nte falsato dai nuovi compratori. «Sono i nuovi proprietar­i, russi, cinesi, arabi, a dettare le regole, pronti come sono a spartirsi la terra, rinominare le vie, rubare ogni possibilit­à agli spazi comuni» denuncia la sociologa che al tema sta dedicando i suoi studi più recenti, «perché — sostiene — bisogna sapere, conoscere, comunicare: Singapore, ad esempio, ha acquistato la maggior parte di Detroit, ma nessuno lo sa». Dunque, è legittimo chiedersi: come sarà Detroit tra cinque anni? Vittima, anch’essa, della cosiddetta tendenza «estrattiva», per la quale grandi corporatio­n prendono da un territorio senza nulla dare in cambio? «Speriamo di no — conclude Sassen — e speriamo, soprattutt­o, che queste nuove tendenze non ci privino del tutto delle città. Abbiamo un disperato bisogno di città che ci rendano soggetti urbani».

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Sociologa Saskia Sassen ha dedicato molti studi alla globalizza­zione

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