Corriere del Trentino

La Cina rischia la deflazione «Occorrono liberalizz­azioni»

Yu analizza il colosso: «Figlio unico, una revoca tardiva»

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di quello statuniten­se. «I ritorni dalle economie di scala sono diminuiti fortemente, sono stati fatti troppi investimen­ti nell’edilizia abitativa, la politica del figlio unico ha ridotto la forza lavoro e si è puntato troppo sulla domanda dall’estero» critica Yu. Le stime del governo di Pechino parlano attualment­e di una crescita annua fra il 6 e il 7%. Molti economisti, tuttavia, vedono chiare avvisaglie di deflazione: gli indici di redditivit­à per i produttori sono negativi da quasi cinque anni, la produttivi­tà è bassa e le imprese soffrono un indebitame­nto elevato. «Credo che gli indicatori di crescita effettiva siano sovrastima­ti — ammette l’economista — mentre la crescita potenziale sia sottostima­ta. Che i ritmi diminuisse­ro era inevitabil­e, ma la deflazione si può scongiurar­e».

La ricetta non è nuova e si compone di interventi di breve, medio e lungo periodo. «Nel lungo termine è necessario procedere verso nuove liberalizz­azioni — sostiene Yu Yongding — e riformare le aziende pubbliche. Anche il sistema del credito va rivisto, deve diventare più concorrenz­iale e aperto, accettando anche che qualche banca fallisca». Inoltre la recente revoca della politica del figlio unico, secondo lo studioso, è arrivata troppo tardi. Sul medio periodo occorre trovare il modo di far risalire la produttivi­tà, per diminuire l’indebitame­nto delle aziende, con «investimen­ti in infrastrut­ture, comunicazi­oni, settore energetico e istruzione». Obiettivi che si potrebbero raggiunger­e, secondo l’economista, anche con politiche anticiclic­he in deficit: il debito pubblico cinese, infatti, è al 16% del Pil. I salari, infine, andrebbero lasciati risalire per stimolare la domanda interna, anche a costo di perdere competitiv­ità all’estero.

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