Corriere del Trentino

Dalla Cina, con passione: Bottari è «In equilibrio su un filo di riso»

- Di Erica Ferro

«L’unico cammino che conta parte da dove si è per capire dove ci si trova». Il tuffo fra le pagine del romanzo di Francesca Bottari, sinologa e scrittrice, collaborat­rice del Corriere del Trentino, è preceduto così, da un ammoniment­o. «Prima di iniziarlo, è bene chiedersi se il sentiero più breve per scoprire se stessi gira attorno al mondo o finisce in un passo». Quello di Anna, la protagonis­ta di In equilibrio su un filo di riso (Ouverture edizioni) si snoda lungo migliaia di chilometri, per otto mesi e altrettant­i fazzoletti, sui quali «assorbire l’inchiostro dell’anima». Un viaggio lungo un libro, un diario cesellato per due anni in forma di romanzo.

L’urgenza di partire per conoscere se stessi davvero, la necessità di seguire la propria voce interiore, lasciandos­i travolgere solo dal bisogno impellente che essa è in grado di dettare e non più «dai mille doveri imposti dalla società» secondo le parole dell’autrice. Una sorta di pellegrina­ggio, dunque. Tra gli sciamani delle steppe mongole, nell’estremo sud cinese sulla «via del thé e dei cavalli» tra ripide risaie di montagna, al confine tra il Laos e la Cina e poi nello Yunnan e in un ashram indiano. «Perché il cuore batte sempre in Oriente». Quello di Anna, quello di Francesca. Dietro alla finzione romanzesca, che snocciola incredibil­i racconti di viaggio e visionari itinerari mistici, c’è una storia vera. Quella di una giovane studentess­a ormai avviata alla medicina e che rimane invece folgorata dalla facoltà di lingue orientali iscrivendo­si a scatola chiusa.

«Dopo due anni che ero in Cina a lavorare mentre studiavo ho capito il motivo e il legame spirituale che mi univa a quel Paese – svela Bottari, alla sua prima prova con la prosa dopo essersi cimentata con la saggistica e la poesia – una sciamana malesiana mi ha svelato che nel Millecento avevo vissuto nella Cina del nord e che in una battaglia avevo visto morire mia madre». Ecco perché non c’era altro posto che l’Oriente estremo per ritrovarsi. «Penso che il primo stimolo alla scrittura sia stata la voglia di comprender­e davvero ciò che in quegli otto mesi avevo vissuto, per questo la prima stesura era in prima persona – racconta Bottari – poi si è aggiunto l’impulso di tramutare sentimenti complessi, disordinat­i, intrecciat­i in un racconto che fosse semplice».

Anna «attraverso un viaggio si “guarda di nuovo” per ricomincia­re a comprender­si». Parte da sola, «perché al mondo si arriva soli e tali si rimane – osserva l’autrice – ma quando si comprende di far parte della vita a modo proprio, dunque unico, la solitudine che si può provare dentro a quattro mura o in mezzo alla folla acquista significat­o». La solitudine, dunque, non come condizione negativa, sentimento da annientare. «Non la si comprende accontenta­ndo un bisogno, ma rendendosi conto che l’uomo è solo per sua natura e che ci si unisce agli altri non per colmare un vuoto ma per condivider­e la gioia di sentirsi unici». Sul computer di Francesca Bottari è già salvato il primo capitolo di un nuovo romanzo, «che nulla ha a che fare con crescite interiori e rinascite», bensì con l’Italia di oggi, «filtrata attraverso gli occhi di cinque personaggi».

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Il volume Il libro è edito da Ouverture

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