Krueger e la sharing economy «Chiunque può mettersi in gioco»
Condividere un viaggio, ospitare uno sconosciuto in casa, barattare competenze per piccole attività. Ecco la sharing economy che cambia la società e il mercato del lavoro. Un esercito di nuovi lavoratori decisamente atipici. I cosiddetti «lavoratori alla spina», pronti a mettersi alla prova con i «gig work», i lavoretti di un tempo oggi sempre più diffusi. A descriverne le straordinarie evoluzioni intervenendo al Festival dell’Economia di Trento, Alan B. Krueger, uno dei 50 migliori economisti al mondo, già sottosegretario al Tesoro degli Usa negli anni della grande crisi, capo del Consiglio dei consulenti economici del presidente Barack Obama e membro del suo Gabinetto dal 2011 al 2013, nonché oggi Bendheim Professor of Economics and Public Affairs al Dipartimento di Economia e Woodrow Wilson School alla Princeton University.
È lui a tirare le fila di quella cha appare come la più grande rivoluzione professionale degli ultimi anni, il settore che proprio durante al crisi ha conosciuto un nuovo e promettente sviluppo. Condivisione, discrezionalità, flessibilità sono le chiavi di volta per una forma di lavoro in cui i lavoratori possono esprimere il loro potere decisionale, scegliendo come, quando e per chi lavorare. Lavoratori che però, al tempo stesso, non hanno coperture legali né assicurative per questo genere di attività. «Persone che dovrebbero essere tutelate come le altre» auspica Krueger ricordando che dal 2012 a oggi, negli Usa, il settore della sharing economy è cresciuto del 47%. Tra i portali più richiesti: Uber, il taxi fai da te che in Italia tante proteste ha suscitato da parte dei tassisti in possesso di regolare licenza e che in America, conta invece almeno 400.000 persone come guidatori. «È semplicissimo diventare autisti di Uber: basta avere un’auto e una patente di guida e il gioco è fatto» continua Krueger, ricordando che tra i Paesi in cui il servizio è più richiesto sfilano, oltre agli Usa: Singapore, Malesia e Regno Unito. L’Italia, invece, è fanalino di coda. «L’Europa è molto più lenta sul fronte della sharing economy e questo potrebbe avere ripercussioni negative sulla crescita, sulla produttività, sul turismo» avverte il professore.
Oltreoceano, invece, la maggior parte dei 15 milioni di nuovi posti di lavoro registrati nella fase di ripresa dell’economia, è figlia proprio della sharing economy. Si tratta, infatti, di attività che possono essere gestite da ogni tipo di lavoratore: «Insegnanti o operai: chiunque può mettersi in gioco nel nome della flessibilità per aumentare il proprio reddito. In Uber, ad esempio, solo il 7% degli autisti lavora più di 50 ore a settimana, il 51% non arriva a 15 ore» rileva l’economista. E in ogni caso, a spingere il settore, più della convenienza economica, è la curiosità degli utenti, il desiderio di vivere un’esperienza diversa e di conoscere persone nuove, lasciandosi trasportare dalla migliore forma pubblicitaria di sempre: il passaparola.