Distretti industriali Camusso chiede una formazione tecnica permanente
TRENTO «In un Festival dell’economia dedicato ai luoghi della crescita non poteva ovviamente mancare un incontro sul futuro dei distretti industriali italiani» ha esordito Luca Paolazzi, direttore del Centro Studi Confindustria, nell’aprire il dibattito che si è svolto ieri sera alla Sala Filarmonica. I luoghi, i territori sono l’elemento fondante dei distretti industriali, insieme alla specializzazione e al capitale umano e sociale, rappresentato secondo Paolazzi «dalle conoscenze, le competenze e i valori racchiusi nelle persone che eleggono un luogo e non un altro ad avere una diffusa cultura industriale». La cultura industriale di un territorio è certamente ben rappresentata dagli istituti locali di istruzione e formazione professionale; anzi, secondo Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, è proprio da tali contesti che nascono i distretti industriali: «Per questo è necessario rendere l’istruzione e la formazione tecnicoprofessionale più lunga e permanente, facendo investimenti ordinari e determinando le competenze regionali e nazionali, accentrando però le politiche: più ti allontani dal territorio più perdi di vista le peculiarità che caratterizzano quel tessuto industriale». I giovani che raggiungono le qualifiche nei vari centri di formazione potrebbero quindi aspirare ad avere impieghi stabili nei loro distretti industriali di pertinenza, potenziando quel fattore umano che secondo Claudio De Vincenti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio (nella foto con Camusso), «è il vero fattore di competitività dei distretti industriali», da lui definiti «l’esempio di come l’industria italiana abbia assorbito la fine delle svalutazioni e la globalizzazione, ricominciando a mettersi in gioco e a competere, trasformandosi e aprendosi alle nuove frontiere del digitale». Il fattore umano è ovviamente tra i fattori chiave di successo delle medie imprese elencati da Stefano Barrese, responsabile Banca dei territori Intesa Sanpaolo, assieme a innovazione, qualità dei prodotti, brevetti e internazionalizzazione: fattori che hanno permesso loro di avere un tasso di crescita complessivo del fatturato di circa il 10% nel periodo 2008-2014, in piena crisi economica, e altre «performance impressionanti» (De Vincenti), come l’aumento dei tassi di occupazione, investimenti esteri e esportazioni. Ma non è tutto oro ciò che luccica secondo Alessandro Laterza, editore ed ex vice-presidente di Confindustria con delega al Mezzogiorno, che ha ricordato come nella crisi si siano persi una decina di punti di Pil; riguardo alle questioni e alle scelte da fare in merito di politica industriale, Laterza ritiene sia «indispensabile valorizzare e dare rilievo alle imprese locali ma anche riportarle all’interno di un disegno largo di livello nazionale perché dobbiamo comunque sempre misurarci con impegni di natura comunitaria, che sono una sfida e un’opportunità». Più che di politica industriale Daniele Marini, docente di Sociologia all’università di Padova, parlerebbe di «politiche di attrazione e proiezione, trasversali e compenetranti nei diversi settori, che ragionino in termini di ecosistemi territoriali», evidenziando come i distretti industriali peraltro abbiano subito un processo di metamorfosi tale che li ha fatti diventare con un gioco linguistico «dislarghi», proiettati verso mercati nazionali e internazionali».