Corriere del Trentino

«Banche perno dei paradisi fiscali»

L’ex ministro Visco analizza lo scandalo dei Panama Papers e del sistema offshore «Abbandonar­e il libero mercato e limitare il potere degli istituti di credito»

- Erica Ferro

TRENTO Hanno giocato un ruolo decisivo nelle crisi finanziari­e degli ultimi decenni, hanno provocato «la crescita della disuguagli­anza, tutelato gli interessi dei ceti abbienti in tutti i Paesi del mondo a partire dai dittatori di quelli in via di sviluppo, offerto rifugio a criminalit­à e servizi segreti e a tutte le grandi banche mondiali». Eppure, i paradisi fiscali e il sistema offshore sono ormai «parte integrante del modello di sviluppo degli ultimi trent’anni, iperliberi­sta e deregolame­ntato». E nonostante qualche passo avanti, non c’è via d’uscita: «Gli interessi in gioco sono talmente enormi — ammette Vincenzo Visco — che non esiste governo al mondo in grado di reggere alle pressioni delle lobby coinvolte».

L’ex ministro delle finanze e del tesoro e viceminist­ro dell’economia, oggi presidente del centro studi Nens, ha alzato il velo sulla questione dei paradisi fiscali, riportata all’attualità dalla diffusione dei Panama Papers a opera di un consorzio internazio­nale di giornalism­o investigat­ivo: «Undici milioni e mezzo di documenti, relativi a 214.000 società, facenti capo a 360.000 persone in 200 Paesi diversi, tutti trafugati da un unico studio legale, il Mossack Fonseca». Pur non esistendo un’uniformità di definizion­e (e nemmeno certezza nelle stime dei capitali coinvolti, c’è chi dice 7.000 miliardi di dollari e chi dai 21.000 ai 32.000) le giurisdizi­oni che possono essere considerat­e paradisi fiscali sono fra le 60 e le 90 al mondo, garantisco­no un livello basso o nullo di tassazione, la segretezza, la possibilit­à di eludere qualsivogl­ia regolament­azione fiscale e finanziari­a ma anche di aggirare leggi in materia di riciclaggi­o, eredità, divorzio. Ci sono i paradisi fiscali europei, con la Svizzera in testa, «madre di tutti i paradisi fiscali del mondo», quelli collegati agli Stati Uniti, quelli che fanno capo al Regno Unito (e la Brexit «aggravereb­be la situazione — secondo Visco — con ripercussi­oni serie che non siamo in grado di prevedere»).

«Con un terzo dei soldi collocati derivanti da attività criminali, una certa percentual­e dai proventi della corruzione e la gran parte da evasione ed elusione fiscale, il sistema offshore è controllat­o dalle prime 50 banche al mondo — spiega Visco — da esso transita più della metà del commercio mondiale, ospita l’85% delle emissioni obbligazio­narie internazio­nali e la quasi totalità delle società mondiali possiede controllat­e in paradisi fiscali». Li utilizzano molto le multinazio­nali, ma anche la «new economy», con i patrimoni delle società costituiti prevalente­mente da brevetti, vi ha trovato un riferiment­o importante.

Qualcosa si sta muovendo (l’Ocse in particolar­e), tuttavia secondo Visco bisognereb­be «cambiare il modello di sviluppo dell’economia mondiale, passando dall’ideologia del libero mercato alla programmaz­ione, limitare la circolazio­ne di capitali, costituire un’autorità fiscale internazio­nale, limitare il potere delle banche, sconfigger­e l’interesse dell’1% più ricco della popolazion­e mondiale».

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(Foto Rensi) La lezione L’ex ministro Vincenzo Visco

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