«Gli immigrati aiutano Pil e pensioni»
L’analisi di Spilimbergo: «A parità di istruzione e qualifica guadagnano il 20% in meno»
TRENTO A due giorni dal nuovo, tragico, naufragio di migranti nel mar Mediterraneo, Antonio Spilimbergo, esperto del Fondo monetario internazionale, già capo missione per Italia, Russia, Slovenia e Turchia, e ricercatore al Cepr, è intervenuto alla terza giornata del Festival dell’Economia per mettere nero su bianco quanto vale l’immigrazione. Costi e benefici, conti pubblici e trend demografici rilevati attraverso il paper «I rifugiati in Europa: le sfide economiche» realizzato proprio per l’Fmi.
Si scopre così, con tutta la chiarezza dei numeri, che l’immigrazione non rappresenta un rischio per le economie nazionali, anzi. «Prima i rifugiati vengono integrati nel Paese e prima riescono a contribuire alla crescita del Paese stesso» spiega Spilimbergo. Le ricerche, infatti, hanno dimostrato che se è vero che in una fase iniziale l’immigrazione rischia di portare a un aumento del debito pubblico del Paese accogliente, nel lungo periodo il Paese ne beneficia poiché i migranti tendono a fare sempre meno ricorso al sostegno pubblico e a contribuire di più al Pil sostenendo, per altro, le pensioni dei natii di quel Paese. Non solo, considerando il fatto che da diversi anni la crescita demografica dei Paesi occidentali è affidata interamente proprio agli immigrati, sono questi a contribuire in maniera maggiore al sistema pensionistico degli anziani autoctoni. Altro stereotipo da scardinare, secondo Spilimbergo, è l’assioma per cui immigrazione vuol dire «furto di lavoro ai residenti». «Gli immigrati vanno dove c’è già il lavoro — spiega lo studioso — portano competenze complementari ai lavoratori locali che, a loro volta, come risposta, dovrebbero migliorare le proprie competenze». Inoltre, secondo le analisi effettuate, gli immigrati che vivono in un determinato Stato da almeno sei anni, a parità di qualifica, età e istruzione di un natio, guadagnano sul lavoro il 20% meno. A ciò si aggiunge il fatto che i più propensi ad avviare attività imprenditoriali sono proprio gli immigrati. Probabilmente poiché hanno un maggior desiderio di riscatto e una maggior propensione al sacrificio.«Per questo – riprende Spilimbergo – è importante sfatare alcuni falsi miti, solo così si può procedere con le conseguenti valutazioni politiche. Troppo spesso, infatti, i governi prendono decisioni legate a un orizzonte emergenziale e trattano la questione in maniera populista, sull’onda del malcontento dei propri cittadini/elettori». Il documento, dunque, indica alcune possibili strade da seguire per migliorare la condizione dei rifugiati come ridurre le restrizioni al lavoro per i richiedenti asilo, avviare corsi di lingua su misura, prevedere sussidi mirati e temporanei ai salari, rafforzare le politiche attive del mercato del lavoro, introdurre semplificazioni burocratiche e amministrative per l’autoimpiego.