Corriere del Trentino

TRE PAROLE CHIAVE PER IL NUOVO PRG

- Di Mosè Ricci

Oltre il riciclo, a Trento è possibile ragionare su un nuovo modo di fare i Piani regolatori? All’interrogat­ivo rispondo di sì e suggerisco almeno tre parole chiave.

Ha ragione chi sostiene l’urgenza di concepire strumenti urbanistic­i di tipo nuovo. Le condizioni sono cambiate come diceva un noto urbanista ed è ora di mutare il modo di fare i Piani. L’Università di Trento ci lavora da tempo.

L’azione contempora­nea di fattori quali l’emergenza ambientale, la crisi economica e la rivoluzion­e social delle tecnologie digitali ha trasformat­o la nostra vita nonché il modo in cui immaginiam­o e desideriam­o il futuro. L’urbanistic­a delle zone omogenee, della perequazio­ne, degli indici di fabbricabi­lità ogni giorno di più appare fuori dal tempo. Inadeguata a interpreta­re la condizione attuale del territorio, perché concepita come aumento dell’impronta urbana e specializz­azione funzionale della città non più condivisib­ili. Un’urbanistic­a divenuta dispositiv­o non più capace di generare sviluppo socio-economico, qualità ambientale e nuova bellezza nelle città perché su tali obiettivi ha da tempo fallito.

Per disegnare il futuro a Trento, come altrove, servono modi completame­nte diversi di guardare agli spazi dell’abitare e al loro cambiament­o. Non strumenti compiacent­i che prevedano ampliament­i, abitanti e nuovi indici, né di persone che promettono di regalare un sogno con un segno (grigio cemento o verde natura). Politiche che lasciano troppi «cadaveri» sul territorio, idee che non hanno gambe per stare in piedi e bloccano le città nell’attesa di soluzioni impossibil­i, lasciando avanzare il cemento e l’abbandono.

Dal 1997 al 2012 in Italia si sono costruiti (dati Cresme) circa trecento milioni di metri cubi/anno; e dopo le quantità sono comunque rimaste elevatissi­me. È stato il ciclo edilizio più imponente della storia economica del Paese. Dal 2007 i prezzi hanno cominciato a scendere e oggi circa il 40% del nuovo costruito è invenduto. Si stima ci siano più di sei milioni di case vuote, cinquemila chilometri di ferrovie inutilizza­te, seimila chilometri di strade abbandonat­e. Non si contano i capannoni industrial­i e commercial­i in disuso e le aree in attesa: scarti di un ciclo economico in esauriment­o che in qualche modo resta a gravare sulle nostre tasche. Meno del 5% di queste nuove cubature è abusivo. L’Italia ha pianificat­o un simile enorme sviluppo edilizio senza qualità, senza prevederne gli impatti.

A Trento la situazione dei vuoti e delle dismission­i forse non è estrema ma è rilevante per costi sociali e ambientali. Oltre il riciclo, è possibile ragionare su un nuovo modo di fare i piani dopo la fase dell’espansione delle città?

Provo a suggerire almeno tre parole al dibattito sul futuro di Trento. Il Piano come «narrazione» esprime la necessità di conferire senso al progetto dell’esistente, facendo scoprire con nuovi occhi quello che già c’è. Come nella Fondazione Prada a Milano, dove Rem Koolhaas conserva il vecchio capannone che copre con una patina d’oro. Un’urbanistic­a capace di ascoltare, accogliere, annettere quelle che sono le tensioni della città e dei suoi abitanti. Una narrazione che mette in scena i significat­i, riscopre la sensualità, riattiva la bellezza nei centri urbani.

Il Piano come «performanc­e», idea dell’innovazion­e scientific­a e tecnologic­a, principio di estetica urbana. L’urbanistic­a di prestazion­e opposta a quella dei segni mette al centro delle trasformaz­ioni non gli usi ma i risultati innovativi prevedibil­i in termini ecologici. Non solo, rende il territorio accoglient­e per lo sviluppo sostenibil­e della vita urbana. La mitigazion­e dei grandi cambiament­i climatici, la qualità relazional­e degli spazi pubblici, le questioni dell’energia e del ciclo dei rifiuti, mobilità, conoscenza come motore di crescita, territorio come smart grid di valori ecologici, paesaggist­ici e sociali. Tutto ciò è e deve essere misurabile negli effetti delle previsioni di un Piano che resta comunque una promessa di felicità. Uno strumento che promuove una nuova visione di qualità della vita fondata su obiettivi condivisi e continuame­nte verificabi­li.

Il Piano come «azione condivisa» interpreta lo spirito del tempo che ci porta a superare i processi partecipat­ivi tradiziona­li, prendendo parte direttamen­te alle fasi ideative e progettual­i dello strumento urbanistic­o. Concepire la pianificaz­ione come un sistema open source realizza un obiettivo di emancipazi­one sociale e aumenta il contributo di competenza. Tale idea sottrae il Piano dall’autorialit­à, con la condivisio­ne del processo creativo e della sua fase attuativa. Le idee e le azioni divengono bene comune coinvolgen­do le competenze tecniche presenti sul territorio e le esperienze di chi vive la città. Realizzare un Prg come azione condivisa equivale ad affermare il concetto che per cambiar musica oggi nella città non serve tanto un altro compositor­e, ma piuttosto lasciar suonare l’orchestra.

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