I «monti pallidi» secondo Karl Wolff Leggende ritrovate
Mursia ha ripubblicato le leggende dolomitiche del grande studioso L’opera risale al 1913: raccolse storie dalla voce di pastori e montanari
C’è un felice ritorno sugli scaffali delle librerie. La casa editrice Mursia ha infatti appena ridato alle stampe Leggende dolomitiche. I monti pallidi di Karl Felix Wolff, una raccolta di leggende e favole che scivolano sul ghiacciaio della Marmolada, passeggiano nelle selve della val Gardena, si arrampicano sulle vette del monte Cristallo animate da nani, fate, principesse e cavalieri.
I Monti Pallidi di Wolff era già noto al pubblico italiano perché lo pubblicò la casa editrice Cappelli nel 1955, preceduto, sempre per Cappelli, dal Regno dei Fanes nel 1951. Ora la nuova edizione per Mursia. Dunque l’immaginario dolomitico è ancora e da sempre in voga. Sono sempre più convinta che i grandi libri debbano essere riproposti e ritradotti ad ogni generazione perché il loro contenuto può essere goduto in maniera diversa in tempi diversi. L’opera di Karl Felix Wolff fu un grande successo, già all’epoca della sua prima pubblicazione.Wolff scrisse altre opere fra le quali delle «guide» e un eccellente lavoro di ricerca sulla saga di re Laurino. Il mondo delle leggende dolomitiche mi ha da sempre appassionata e fu davvero una grande emozione l’aver conosciuto Karl Felix Wolff. È accaduto a Bolzano nel 1960, anno nel quale gli era stato conferito il premio Walther von der Vogelweide per la letteratura. Accadde in settembre in uno dei caffè dove si incontravano i «bolzanini» il caffè Kusset. Sapevo che Wolff abitava a Bolzano, ma non lo avevo mai incontrato. Credo di avergli esternato la mia ammirazione, di avergli detto di essere stata discepola, in tutti i sensi, di Italo Calvino, uomo severo anche se poi con me affabilissimo e la scapellata larga e solenne con cui mi salutò un barbutissimo Karl Felix Wolff mi colpì molto.
Alle mie domande, molto impacciate, sollecitate dal perfetto tedesco di mia madre, il Wolff mi rispose in un italiano pulito ed ordinato, quasi accademico. Non so perché, ma le nostre conversazioni (poche) furono sempre e solo in italiano. Forse dipese dal fatto che Karl Felix Wolff ( 21 maggio 1879, Karlovac, Croazia, 25 novembre 1966, Bolzano) era sí un suddito dell’impero austroungarico, di padre croato, ma la madre era di origine italiana (la nobildonna Lucilla Von Busetti) e poi ci univa una «passione» per la val di Fiemme dalla quale proveniva la mia nonna paterna e che, per Wolff, era la terra della sua prima narratrice di leggende. Racconta infatti il Wolff stesso: «Negli anni 1887-1888 mi ammalai per un lungo periodo e quindi mia madre fece venire un’infermiera. Era questa un’anziana signora della Val di Fiemme che chiamavamo semplicemente “la vecchia Lena”. Io non l’ho vista mai più e le sono debitore del mio più grande ringraziamento perché ha contribuito in modo determinante alla mia formazione culturale, raccontandomi le prime leggende. In seguito, quando nel 1903 visitai la Val di Fiemme, ero convinto che ogni persona dovesse conoscere quelle storie. Invece trascorse molto tempo, prima che potessi trovare un vecchio pastore che ricordava qualcosa».
Fu all’incirca tra il 1905 ed il 1908 che il Wolff, percorrendo più volte le valli dolomitiche, pazientemente raccolse dalla viva voce degli abitanti del luogo, dei montanari, dei pastori, e soprattutto da molti fra i letterati e cultori di letteratura del tempo sia tedeschi che ladini, i brandelli delle leggende che per la prima volta pubblicò nel 1913 sotto il titolo di Dolomiten Sagen e in particolare della Saga del Regno dei Fanes. Erano quelli gli anni immediatamente precedenti alla prima Guerra Mondiale, e mai opera di recupero fu più tempestiva di quella del Wolff: perché quello che egli riuscì a salvare stava per essere letteralmente spazzato via da quella guerra.
Oggi, di quelle antiche saghe e leggende, rimane principalmente quello che dal Wolff è stato salvato, nella sua prosa semplice ed essenziale, più qualche verso originale sparso e isolato: ma esistono prove più che non semplici indizi del fatto che, originariamente, dovesse trattarsi di un qualcosa di assai più esteso. Un corpus mitologico consistente, forse non ampio ed articolato come l’Iliade o come l’Odissea, ma certamente di poco meno, sia come dimensioni che come significato. Un qualcosa, a mio parere, di paragonabile al Nibelungenlied della mitologia germanica, o all’Edda di Snorri Sturluson cioè alla leggenda franca, nata alla corte merovingia con il ciclo cavalleresco di Re Artù e la componente scandinava, precristiana con i suoi dei, semidei, nani giganti e draghi, e, non ultimo, il ciclo dolomitico con i motivi magici e fiabeschi della tradizione popolare. L’opera era tramandata in versi non rimati, e dei cantori la recitavano per intero sulle piazze dei villaggi o nelle stalle e nelle Stue. Spesso erano storie che duravano l’intera giornata, dall’alba al tramonto. Da noi in Fiemme e Fassa i narratori erano detti Felipes, ma io ho udito le storie più belle da una mia vicina di casa a Vigo di Fassa, che per me è e rimane la mitica Carlotta Berghena. Una sua frase Carlotta mi sostiene quando prendo in mano il materiale leggendario dolomitico: «Il tuo linguaggio deve prendere forza per sottrazione. Le parole che ne risultano devono essere come i sassi levigati dall’acqua. Quello che rimane deve colpire, risuonare con la forza del silenzio».
Ma parlavo di Karl Felix Wolff, e dei miei incontri con l’autore. Rimasi, come ho detto, affascinata dalla sua passione per le figure dell’immaginario popolare e dal suo modo di porle e di mediarle. Certo la critica sull’opera del Wolff, specialmente ad opera della professoressa Ulrike Kindl, illustre studiosa, ne evidenziò le carenze, rivolte principalmente al suo metodo di lavoro ovvero alla sua attitudine alla «ricostruzione» del materiale leggendario ove questo gli paresse contraddittorio o lacunoso. Compito della scienza è oggi individuare e isolare tali elaborazioni personali dal materiale di tradizione popolare. Forse il principale ostacolo alla lettura delle Leggende e Saghe del Wolff sta nella ricerca di un linguaggio che riporti, ad oggi, la magia di quei racconti tradotti in una lingua, l’italiano che ha metri ed inflessioni diverse.