Corriere del Trentino

PierAngelo, il trentino con la bandiera Usa «Tre paralimpia­di, emozione unica»

Beltrami perse una gamba in un’incidente: «Mi proposero il doping, ma ho sempre rifiutato»

- di Silvia Pagliuca

Il Trentino, l’America. Il lavoro, lo sport. La vita che inizia e poi, boom: l’incidente in moto. Una gamba in meno, ma un desiderio in più: partecipar­e alle Olimpiadi, categoria Paralympic­s. La vita di PierAngelo Beltrami, classe 1950, originario di Darzo, è un continuo zigzagare tra opportunit­à e fatiche. Come quella volta che, giovanissi­mo, volò nella Grande Mela per uno stage da grafico. Qualche mese che divenne un anno, e anche di più. Era bravo, le agenzie se lo contendeva­no, la testata del quotidiano «The Washington Times», ad esempio, è stata una sua creazione. Fino a che un giorno decise di risalire in sella. Sì, ma della bici. E arrivò là dove voleva: sulla vetta degli atleti più bravi del mondo.

PierAngelo, che aria si respira dal podio più ambito?

«Un’aria bellissima, densa di emozione. Ho partecipat­o tre volte alle paralimpia­di: la prima fu a Seul e mi valse un terzo posto nel ciclismo. Un risultato che portava con sé tutte le paure e le incoscienz­e dei cammini mai percorsi prima».

L’invalidità non è stata un limite per lei.

«È un limite se vuoi che lo sia. Per me è stata una forza. L’incidente mi ha sorpreso da giovane, quando hai tanti sogni e nessuna voglia di rinunciarc­i. Non immaginavo che dopo aver perso tanto — una gamba! — mi sarei ritrovato a conquistar­e tanto».

Quando ha deciso di allenarti per Seul?

«Ero a New York, lavoravo come grafico e trascorrev­o lunghe ore davanti al pc. Così, per rimettermi in forma, iniziai a pedalare a Central Park con qualche amico. Amici che un bel giorno mi dissero: “Se ti piace così tanto andare in bici, perché non vai alle Olimpiadi”. Uno di loro raccontò finanche di avermi sognato sul podio. Non potevo non provarci. Così, chiamai Francesco Moser (lo «sceriffo» delle bici, l’italiano con più vittorie nella storia del ciclismo, ndr), mio grande amico, e iniziai ad allenarmi con lui, pedalando per altro sulla bici che aveva realizzato apposta per me».

Ha gareggiato con la nazionale americana e non per quella italiana, come mai?

«Non avevo altra scelta: il Coni mi disse che non potevano farmi gareggiare perché non avevano una delegazion­e di atleti paralimpic­i nella mia specialità. Così mi unii alla nazionale Usa e andai ad allenarmi in Colorado. Ritmi serratissi­mi, ma che soddisfazi­one. Specie alla mia età: 38 anni».

Da lì, Barcellona 1992 e Atlanta 1996. Come ricorda queste esperienze?

«Barcellona è stata stupenda: la mia medaglia d’argento, con tanto di invito alla Casa Bianca per ricevere la bandiera americana direttamen­te dal vicepresid­ente Usa, Dan Quayle. Atlanta è andata diversamen­te, non sono salito sul podio ma avevo già 46 anni, sono stato più che altro un team leader».

Un team leader che ha avuto l’onore di fare da portabandi­era per la delegazion­e americana. Quanto è rimasto del Trentino in un animo Usa come il suo?

«Moltissimo. Il fatto che mi abbiano scelto come portabandi­era è stato straordina­rio: un immigrato italiano, per di più con una disabilità, è accolto in un Paese e da questo Paese scelto come simbolo di forza e riscatto. Ma nulla, neanche un’emozione così grande, mi ha allontanat­o dalla mia terra. Vengo qui almeno due volte l’anno e anche qui pedalo: se negli Usa scelgo le campagne del West Virginia, qui mi tuffo nella ciclabile di Arco. Certo, mi piacerebbe che la rete ciclabile fosse completata ed estesa nell’alta val Sabbia, lago d’Idro e valle del Chiese. Il ciclismo è comunicazi­one tra persone, valli, culture: è un peccato frenarlo».

E in ambito paralimpic­o, invece? Crede si stia facendo abbastanza?

«Credo che dal 1992 a oggi siano stati fatti tanti passi avanti: ai miei tempi, gli atleti dovevano finanche cercarsi gli sponsor da soli. Ma la strada da fare è ancora lunga. Gli Stati Uniti hanno molto da insegnarci: in termini di sensibilit­à, infrastrut­ture e opportunit­à lavorative. Perché anche un disabile può essere parte attiva nella società. E su questo, anche il Trentino ha da imparare».

Qual è l’atleta più promettent­e delle prossime paralimpia­di?

«Credo che il più completo e pronto per conquistar­e medaglie su strada sia il ciclista Pierpaolo Addesi, oltre che naturalmen­te Alex Zanardi, che seguo da anni e a cui sono molto legato. Abbiamo finanche lo stesso dottore».

C’è chi prova a superare i propri limiti con il doping. La nazionale russa, ad esempio, è stata esclusa dalle paralimpia­di di Rio 2016. Cosa ne pensa?

«Ai miei tempi il doping era ancora più diffuso di oggi. Un ex profession­ista, che aveva corso il Tour de France e il Giro d’Italia, offrì anche a me alcune di queste sostanze: rifiutai. Sono sempre stato testardo. Troppo testardo e orgoglioso per credere che non ce l’avrei potuta fare da solo».

E così è stato.

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 ??  ?? Medagliato In alto PierAngelo Beltrami con il’ex vicepresid­ente Usa Quayle; sotto prova una bici Moser
Medagliato In alto PierAngelo Beltrami con il’ex vicepresid­ente Usa Quayle; sotto prova una bici Moser

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