Falcon: bicameralismo da modificare
Riforma, il presidente della Consulta statuto voterà sì. «Non vedo svolte autoritarie»
Èun «sì» con riserva quello che apporrà sulla scheda per la riforma costituzionale il professor Giandomenico Falcon, ordinario di diritto amministrativo a Trento e recentemente nominato presidente della Consulta che riscriverà lo statuto di Autonomia. «La bocciatura della riforma ci lascerebbe con un sistema bicamerale difficile da modificare» spiega il docente universitario.
TRENTO «La bocciatura della riforma ci lascerebbe con un sistema bicamerale sempre più difficile da modificare in futuro ed è importante inserire le comunità territoriali nel procedimento legislativo statale». Sono questi i principali motivi per i quali Giandomenico Falcon voterà «Sì» al referendum costituzionale. Ordinario di diritto amministrativo a Trento, Falcon ha fatto parte della Commissione di esperti per le riforme costituzionali nominata nel 2013 dal governo. Ora è presidente della Consulta che, a Trento, ha il compito di procedere alla definizione di un’ipotesi di revisione dello Statuto di autonomia. «Non è però in quella veste — tiene a precisare — che esprimo il mio parere sulla riforma costituzionale».
Professore, lei ha già avuto modo di affrontare il tema sulla rivista giuridica «Le Regioni» (il Mulino). Prima di indicare la sua opinione, ha riassunto le principali ragioni del Sì e del No.
«L’ho fatto perché, anche all’interno della rivista, le posizioni sono diverse».
I giuristi italiani paiono divisi, gli appelli in un senso, o nell’altro, si susseguono.
«La mia impressione è che, nell’adesione a una, o all’altra posizione confluiscano sentimenti diversi, uniti più dalla scelta conclusiva, che dalle motivazioni. Tra chi voterà no, ad esempio, troviamo quanti temono un crescente autoritarismo e trasferiscono questo timore nei confronti delle riforme che cercando di rafforzare la capacità decisionale delle istituzioni. In quest’ottica, anche il voto “a data certa”, o la fiducia incentrata sulla sola Camera appaiono ad alcuni elementi sospetti».
C’è anche chi ne fa prima di tutto una questione di metodo e critica l’iter di approvazione della riforma.
«In questa prospettiva, alla riforma viene imputato un triplice difetto: essere stata fortemente voluta dall’esecutivo, approvata dalla sola maggioranza di governo e da Camere “delegittimate” perché elette con una legge elettorale giudicata incostituzionale».
A livello locale, la critica più diffusa investe la “fine del regionalismo” che questa riforma decreterebbe.
«È naturale che chi ancora crede nel regionalismo guardi con preoccupazione al ritorno al centralismo promesso dal nuovo articolo 117. Non tanto per il passaggio di questa, o quella competenza allo Stato, ma per la sbrigatività punitiva nei confronti delle Regioni con la quale si interviene nel testo del 2001, come se nel frattempo non fossero già stati individuati correttivi e soluzioni».
Su questo giornale, il senatore Palermo ha giudicato un falso mito quello della riduzione dei contenziosi alla Consulta. Conferma?
«È evidente che, dal 2001 ad oggi, si è consolidata una giurisprudenza che ha ridotto di molto il contenzioso, soprattutto da parte delle Regioni. Abbiamo avuto una legislazione ordinaria molto centralista e la Corte ne ha dovuto tenere conto».
E il fronte del sì?
«Ripartendo dal bicameralismo, i regionalisti sostenitori del sì apprezzano un Senato che mantiene un collegamento stretto con le autonomie territoriali, gli antiregionalisti apprezzano nel nuovo Titolo V l’attribuzione allo Stato di un più netto potere di supremazia. Vi sono poi la diminuzione dei costi della politica, la soppressione del Cnel, la possibilità per la maggioranza di governo di attuare il proprio indirizzo politico. In ultima analisi, credo che ognuno debba trovare le ragioni di una scelta dalla misura e dal valore che assegna a ciascuno di questi parametri di giudizio».
Lei?
«Io non vedo nella riforma una svolta autoritaria. Non mi pare che l’equilibrio tra esigenze di rappresentanza e di efficienza vada oltre il ragionevole. Nemmeno mi convince l’idea del di- fetto di origine: la legittimità dell’attuale Parlamento non è in discussione e l’articolo 138 è stato rispettato. Rimane la questione del rapporto Stato-Regioni. In questo, la riforma sembra più concepita in spirito di rivincita contro le Regioni che per realizzare un sistema istituzionale fondato sulla collaborazione. Tuttavia, le parole che disciplinano il riparto delle competenze potranno sempre essere interpretate in modo dinamico dal legislatore, mentre un nuovo sistema bicamerale può essere ottenuto solo con la riforma della Costituzione».
Secondo lei è ragionevole immaginare che, in un contesto di complessivo riaccentramento, le Speciali non solo possano continuare a rimanere tali, ma in prospettiva possano addirittura rafforzare la propria autonomia?
«Prendendo il testo della riforma alla lettera, sì. Le autonomie speciali saranno esentate dal riaccentramento delle competenze e, anche su questo, i giudizi sono diversi. Si tratta di capire se, nell’eventuale riforma degli Statuti, si potranno per lo meno non perdere le conquiste della riforma del 2001, nella loro parte vera e ragionevole».
Lei non si esprime come presidente della Consulta, ma pensa che la proposta del Trentino Alto Adige potrà essere migliorativa? Si potrà davvero ambire a diventare Comunità autonoma?
«Diciamo che sarebbe assurdo partire rinunciatari, non ci si mette a riscrivere uno Statuto di autonomia per ridurlo. Al di là del nome — Comunità o meno — spero sia l’occasione per fare una buona proposta, tra l’altro, sulle materie, anche ulteriori rispetto alle attuali, che si vorrebbero affidate all’Autonomia».