Zeni e la convivenza «Eliminare le barriere»
«Molti immigrati mi dicono: mai stati a cena da un trentino». La preside: spesso sono i ragazzi stranieri ad auto-isolarsi
«S ulle seconde generazioni di immigrati ci giochiamo il futuro: basta vedere cos’è successo in Francia, dove le politiche di integrazione sono state scarse». L’assessore Luca Zeni rilancia la sfida dell’integrazione. Pasini (Associazione presidi): «Puntiamo su percorsi di co-gestione».
TRENTO «“Non siamo mai andati a cena da un trentino”: è una delle frasi che più mi sento ripetere e che più mi colpisce quando parlo con immigrati che da anni vivono e lavorano qui». Parte da un esempio concreto, Luca Zeni, assessore alla salute e alle politiche sociali della provincia di Trento, per ammettere che di vera integrazione ancora non si può parlare: «Il percorso è lungo e complicato e il clima internazionale non aiuta».
Il reportage del Corriere del Trentino sulle seconde generazioni di immigrati che hanno ammesso di sentirsi poco — o per nulla — italiane, infatti, è suonato come un allarme: «Qui ci giochiamo il futuro — riflette l’assessore — basta vedere cosa è accaduto in Francia dove le politiche di integrazione sono state scarse e la mobilità sociale molto bassa: si è arrivati a situazioni gravi ed estreme». Un avvertimento, questo, lanciato anche dall’orientalista Massimo Campanini che, commentando il reportage, ha scritto: «Capendo perché Gihed Hazgui, che è italiano e trentino, non si sente tale, capiremo anche perché le banlieue di Parigi e gli slum di Los Angeles bruciano». Gihed Hazgui, infatti, è uno dei ragazzi intervistati: trentino di nascita, si definisce «tunisino nell’anima». Un «italiano a metà» rispetto al quale è naturale chiedersi dove si è sbagliato e cosa sia possibile fare. «Dobbiamo abbattere le barriere tra i gruppi sociali, favorire la conoscenza reciproca — rileva Zeni — La scuola è la nostra principale alleata: dobbiamo aumentare il tasso di scolarità dei ragazzi stranieri, perché un’istruzione più elevata ridurrà il gap di mobilità sociale».
Già oggi il Trentino, rispetto al resto d’Italia, riesce ad assicurare una scolarità maggiore, soprattutto grazie agli istituti professionali. Ma chi nella scuola lavora ogni giorno, come Alessandra Pasini, presidente della sezione trentina dell’Associazione nazionale presidi e dirigente dell’istituto tecnico Pilati di Cles, assicura che spesso sono proprio i ragazzi di seconda generazione ad auto-isolarsi: «Creano gruppi a parte, parlano nelle loro lingue, in classe così come sui social network. Una vera integrazione avviene solo se è reciproca». Nel suo istituto, il 10% degli alunni è di seconda generazione e si contano almeno 21 nazionalità diverse: i più numerosi sono gli est europei, seguiti dai nord africani e, in misura molto minore, dai sudamericani. Per ognuno di loro pesa moltissimo il contesto di provenienza, l’orientamento religioso e la scolarità della famiglia d’origine. «Sono soprattutto i figli di arabi e di indiani ad avere difficoltà: in famiglia non parlano l’italiano, le mamme hanno rapporti solo all’interno delle loro comunità, le ragazze sono molto chiuse e sottomesse», racconta la preside che evidenzia anche un altro punto debole: il rapporto con le donne. «Per i macedoni e i marocchini è difficile riconoscere l’autorità femminile: si comportano in maniera diversa se il docente è uomo o donna. Per noi è un grande problema». Inoltre i tentativi di coinvolgere le famiglie spesso sono falliti: «Con il Centro educazione adulti ho invitato i genitori a partecipare a diversi incontri, ma solo pochi sono intervenuti», ammette Pasini. La strada è in salita, ma lei promette di continuare a provarci: «Nei prossimi mesi creerò momenti di cogestione per dare ai ragazzi la possibilità di esprimersi e conoscersi». Ma, la sensazione è che non ci sia davvero più tempo da perdere.
L’assessore «La scuola è la nostra principale alleata per ridurre il gap di mobilità sociale» Pasini «Creerò momenti di cogestione per dare ai ragazzi la possibilità di conoscersi»