Corriere del Trentino

Burocrazia e fideiussio­ni, start-up vessate

La denuncia delle realtà più innovative. «La Provincia crei un fondo di garanzia»

- Di Enrico Orfano

Tre start-up innovative del Trentino, beneficiar­ie di contributi, rompono il silenzio: le modalità con cui sono costruiti i bandi hanno rischiato di soffocarci. La richiesta di garanzie presso banche, la chiusura della pratica che è arrivata solo di recente, dopo quasi due anni dalla conclusion­e del progetto, hanno creato una selva di difficoltà. Mazzarella, Gubert e Taglioni: «Serve un fondo di garanzia».

TRENTO I contributi della Provincia alle start up innovative sono un valido strumento per far crescere il territorio. Ma a volte le regole con cui vengono erogati possono finire per strozzare le stesse aziende, soprattutt­o per problemi legati alle garanzie bancarie che gli imprendito­ri devono ottenere per avere accesso al sostegno pubblico. Ne parlano al Corriere del Trentino tre imprendito­ri, Massimilia­no Mazzarella, Michele Gubert e Diego Taglioni. Le difficoltà si rivelano tali che rischiano addirittur­a di inficiare il senso stesso del sostegno pubblico. Per questo da loro parte un appello: attivare un Fondo di garanzia a supporto dei progetti di ricerca delle start-up innovative.

Per il progetto Locos la Futur3 di Mazzarella ha ottenuto circa 250.000 euro a fondo perduto; nel complesso il progetto (da 500.000 euro) inglobava anche la U-Hopper di Taglioni, per un importo del contributo pari a 350.000 euro complessiv­i. Gubert invece con la sua Trillary e assieme ad Algorab ha ottenuto 150.000 di contributo su un progetto da 220.000. Per accedere a contributi simili «di solito le procedure europee tramite bandi Fesr non chiedono fideiussio­ni, o almeno è un fenomeno raro — come spiega Taglioni — ma la Provincia di Trento invece le ha pretese». La richiesta in questo caso è di una garanzia bancaria per coprire il 120% del contributo che si vuole anticipare, che viene rilasciata da istituti di credito a fronte di un terzo di deposito in contanti, vale a dire liquidità personale dei soci, e in più la firma solidale di tutti i soci, a garanzia. Diversamen­te si deve aspettare la fine del progetto, impossibil­e per definizion­e in una start-up. «Se non hai cassa, come può normalment­e capitare nel caso di una start-up, per l’imprendito­re è un grosso problema» sottolinea Mazzarella. Ci sarebbe un sistema per evitare la richiesta di fideiussio­ne «ed è il Seed money, che funziona — sottolinea Gubert —. Ma è adatto per la fase embrionale di una start up, non per società più strutturat­e, con dipendenti e che necessitan­o di investimen­ti più importanti».

Pur con queste difficoltà, le tre società hanno avuto accesso ai fondi Fesr e, presentand­o una fideiussio­ne, hanno ottenuto l’anticipo della liquidità. In particolar­e la garanzia serve per ottenere il 70% del contributo subito, mentre a fine progetto viene erogato il rimanente il 30% e solo in questo momento viene sbloccata la fideiussio­ne. Un aspetto, quest’ultimo, estremamen­te importante per l’azienda.

La sorpresa purtroppo è arrivata alla fine. «Le tre società hanno concluso il loro progetto negli ultimi mesi del 2014 — riprende Mazzarella — e hanno dovuto aspettare quasi due anni per vedersi chiudere la pratica, invece dei 6 mesi prospettat­i. Una situazione imbarazzan­te: la Provincia ci ha chiesto di ripresenta­re le stesse carte a uffici diversi innumerevo­li volte, con perdita di tempo, ingenti costi amministra­tivi e di consulenti». Ma qual è il motivo di questo ritardo, in un settore in cui la velocità è tutto e bloccare una società per anni equivale a metterla seriamente in difficoltà? «Si tratta di un errore grave di interpreta­zione del modo di rendiconta­re le spese generali — chiarisce Gubert —. Secondo i dettami del bando la rendiconta­zione sarebbe dovuta avvenire in maniera forfettari­a: so che per una certa voce di spesa ho una cifra da rispettare e non occorre che presenti le singole fatture che compongono l’ammontare. Invece è emerso che si sarebbe dovuto giustifica­re ogni singola spesa». Solo il recupero dei documenti ha richiesto molto tempo, ma a ciò si sono aggiunte le incertezze di Apiae e Servizio Europa della Provincia. Guarda caso proprio quest’ultimo ha passato un momento difficile, in corrispond­enza di questo problema, per cui il dirigente è cambiato e ora c’è Michele Michelini al posto di Nicoletta Clauser.

«Nel 2010 è stato scritto male il bando — insiste Gubert —. In seguito la Provincia, trovato l’errore, non fa comunicazi­oni ufficiali per un anno e mezzo, ma solo a voce. I tempi sono diventati biblici, senza conoscerne il motivo, in un periodo in cui in 4 anni cambia il mondo. Inoltre le banche iniziano a chiedersi: ma ci sarà qualcosa che non va in questa azienda, dato che non si chiude la pratica e non incassa il saldo del contributo? Così facendo il tuo rating si abbassa pericolosa­mente, con tutto quello che ne segue». «In una provincia che si propone di essere la terra promessa delle start-up è possibile che succedano questi errori?» tuona Gubert. Mazzarella è diretto: «I dirigenti pubblici o chi per loro dovrebbero rispondere dei danni che hanno causato a noi come ad altre decine di aziende che hanno partecipat­o a questi bandi». «Facciamo un appello — concludono i tre imprendito­ri — serve un Fondo di garanzia a supporto dei progetti di ricerca, le start-up innovative. Una convenzion­e con istituti di credito a sostegno del progetto. Se vuoi finanziare le start-up, lo devi fare in modo profondo e coerente e magari coinvolger­e più seriamente gli imprendito­ri nella stesura delle regole».

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Diego Taglioni
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Max Mazzarella
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Michele Gubert
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Provincia I bandi Fesr sono hanno rivelato brutte sorprese alle start up che vi hanno aderito

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