Burocrazia e fideiussioni, start-up vessate
La denuncia delle realtà più innovative. «La Provincia crei un fondo di garanzia»
Tre start-up innovative del Trentino, beneficiarie di contributi, rompono il silenzio: le modalità con cui sono costruiti i bandi hanno rischiato di soffocarci. La richiesta di garanzie presso banche, la chiusura della pratica che è arrivata solo di recente, dopo quasi due anni dalla conclusione del progetto, hanno creato una selva di difficoltà. Mazzarella, Gubert e Taglioni: «Serve un fondo di garanzia».
TRENTO I contributi della Provincia alle start up innovative sono un valido strumento per far crescere il territorio. Ma a volte le regole con cui vengono erogati possono finire per strozzare le stesse aziende, soprattutto per problemi legati alle garanzie bancarie che gli imprenditori devono ottenere per avere accesso al sostegno pubblico. Ne parlano al Corriere del Trentino tre imprenditori, Massimiliano Mazzarella, Michele Gubert e Diego Taglioni. Le difficoltà si rivelano tali che rischiano addirittura di inficiare il senso stesso del sostegno pubblico. Per questo da loro parte un appello: attivare un Fondo di garanzia a supporto dei progetti di ricerca delle start-up innovative.
Per il progetto Locos la Futur3 di Mazzarella ha ottenuto circa 250.000 euro a fondo perduto; nel complesso il progetto (da 500.000 euro) inglobava anche la U-Hopper di Taglioni, per un importo del contributo pari a 350.000 euro complessivi. Gubert invece con la sua Trillary e assieme ad Algorab ha ottenuto 150.000 di contributo su un progetto da 220.000. Per accedere a contributi simili «di solito le procedure europee tramite bandi Fesr non chiedono fideiussioni, o almeno è un fenomeno raro — come spiega Taglioni — ma la Provincia di Trento invece le ha pretese». La richiesta in questo caso è di una garanzia bancaria per coprire il 120% del contributo che si vuole anticipare, che viene rilasciata da istituti di credito a fronte di un terzo di deposito in contanti, vale a dire liquidità personale dei soci, e in più la firma solidale di tutti i soci, a garanzia. Diversamente si deve aspettare la fine del progetto, impossibile per definizione in una start-up. «Se non hai cassa, come può normalmente capitare nel caso di una start-up, per l’imprenditore è un grosso problema» sottolinea Mazzarella. Ci sarebbe un sistema per evitare la richiesta di fideiussione «ed è il Seed money, che funziona — sottolinea Gubert —. Ma è adatto per la fase embrionale di una start up, non per società più strutturate, con dipendenti e che necessitano di investimenti più importanti».
Pur con queste difficoltà, le tre società hanno avuto accesso ai fondi Fesr e, presentando una fideiussione, hanno ottenuto l’anticipo della liquidità. In particolare la garanzia serve per ottenere il 70% del contributo subito, mentre a fine progetto viene erogato il rimanente il 30% e solo in questo momento viene sbloccata la fideiussione. Un aspetto, quest’ultimo, estremamente importante per l’azienda.
La sorpresa purtroppo è arrivata alla fine. «Le tre società hanno concluso il loro progetto negli ultimi mesi del 2014 — riprende Mazzarella — e hanno dovuto aspettare quasi due anni per vedersi chiudere la pratica, invece dei 6 mesi prospettati. Una situazione imbarazzante: la Provincia ci ha chiesto di ripresentare le stesse carte a uffici diversi innumerevoli volte, con perdita di tempo, ingenti costi amministrativi e di consulenti». Ma qual è il motivo di questo ritardo, in un settore in cui la velocità è tutto e bloccare una società per anni equivale a metterla seriamente in difficoltà? «Si tratta di un errore grave di interpretazione del modo di rendicontare le spese generali — chiarisce Gubert —. Secondo i dettami del bando la rendicontazione sarebbe dovuta avvenire in maniera forfettaria: so che per una certa voce di spesa ho una cifra da rispettare e non occorre che presenti le singole fatture che compongono l’ammontare. Invece è emerso che si sarebbe dovuto giustificare ogni singola spesa». Solo il recupero dei documenti ha richiesto molto tempo, ma a ciò si sono aggiunte le incertezze di Apiae e Servizio Europa della Provincia. Guarda caso proprio quest’ultimo ha passato un momento difficile, in corrispondenza di questo problema, per cui il dirigente è cambiato e ora c’è Michele Michelini al posto di Nicoletta Clauser.
«Nel 2010 è stato scritto male il bando — insiste Gubert —. In seguito la Provincia, trovato l’errore, non fa comunicazioni ufficiali per un anno e mezzo, ma solo a voce. I tempi sono diventati biblici, senza conoscerne il motivo, in un periodo in cui in 4 anni cambia il mondo. Inoltre le banche iniziano a chiedersi: ma ci sarà qualcosa che non va in questa azienda, dato che non si chiude la pratica e non incassa il saldo del contributo? Così facendo il tuo rating si abbassa pericolosamente, con tutto quello che ne segue». «In una provincia che si propone di essere la terra promessa delle start-up è possibile che succedano questi errori?» tuona Gubert. Mazzarella è diretto: «I dirigenti pubblici o chi per loro dovrebbero rispondere dei danni che hanno causato a noi come ad altre decine di aziende che hanno partecipato a questi bandi». «Facciamo un appello — concludono i tre imprenditori — serve un Fondo di garanzia a supporto dei progetti di ricerca, le start-up innovative. Una convenzione con istituti di credito a sostegno del progetto. Se vuoi finanziare le start-up, lo devi fare in modo profondo e coerente e magari coinvolgere più seriamente gli imprenditori nella stesura delle regole».