Corriere del Trentino

MERCATINI? MEGLIO AVVENTO E SIDDHARTA

- Di Paul Renner

Cosa resta dell’Avvento? È una domanda che tocca cristiani e no, quando ormai mancano solo tre settimane alla celebrazio­ne della nascita di Gesù.

Cosa resta dell’Avvento? È una domanda che tocca cristiani e no, quando ormai mancano solo tre settimane alla celebrazio­ne della nascita di Gesù. Il Natale è ormai un appuntamen­to per l’intero genere umano. È diventato una festa laica: una festa della famiglia, dei buoni sentimenti, dei regali, delle corse tra mille impegni, delle luminarie, delle musiche americane e di Babbo Natale con la sua risata grassa, dei mercatini, del ponte di sant’Ambrogio-Immacolata diventato un incubo per tutti gli automobili­sti, degli eccessi alimentari e così via. Eppure, nonostante questi fenomeni ormai consolidat­i a livello planetario, le comunità cristiane persistono nel voler conferire un tono particolar­e all’Avvento, cercando di renderlo tempo di silenzio, di attesa, di conversion­e.

In quasi tutti i centri, anche minori, si celebra all’alba dei giorni feriali la messa solenne chiamata «Rorate», espression­e presa dal profeta Isaia che invoca «O cieli piovete dall’alto, o nubi mandateci il Santo». Le chiese vengono addobbate con luci soffuse di candele (in netto contrasto con i fari e le luminarie aggressive dei mercatini) e i fedeli si ritrovano nel gelo del mattino a farsi scaldare i cuori dalla Parola di Dio e dai bei canti del periodo liturgico. Il duomo di Bressanone, dove spesso celebro, risulta in genere pieno e non solo di persone anziane, come si potrebbe credere. Intere scolaresch­e partecipan­o alla preghiera del mattino e intervengo­no offrendo letture o preghiere dei fedeli. Non mancano poi anche iniziative culturali, quali concerti di repertorio religioso, ritiri spirituali, iniziative per promuovere regali solidali, destinati a persone che ne hanno bisogno o meno; invece a chi non necessita di alcunché e anzi si lamenta di avere troppo, suggerisco di regalare galline, capre e asini a famiglie del Terzo mondo che ne trarranno alimento e speranza per un anno intero, a costi di poco superiori quelli di un panettone e di una bottiglia di spumante.

L’Avvento ha però una funzione profetica e terapeutic­a nei confronti della nostra società afflitta dalla fretta e dallo stress. Non avete notato anche voi che i primi alberi di Natale sono comparsi già a fine ottobre? Non è — insieme ad altri — un sintomo di patologia da ansia? Non stiamo correndo troppo e perdendo la capacità di aspettare? A volte basta un ritardo di cinque minuti e già siamo infastidit­i e trattiamo male la persona che si è fatta attendere. La gente diventa sempre più nervosa e insofferen­te. Basta che il semaforo scatti sul verde e dopo un nanosecond­o si sentono i primi clacson. Le code sono un fenomeno per polli: i furbi le saltano.

Quante decisioni di cui ci pentiamo per averle prese in fretta, senza ponderare i pro e i contro: acquisti, scelte politiche o matrimonia­li e via dicendo. Saper attendere è una grande risorsa, una fonte di forza. Nel suo celebre romanzo «Siddharta», il grande Hermann Hesse descrive il giovane che giunge alla città degli uomini bambini (forse i visitatori dei mercatini e quelli che si accontenta­no di sopravvive­re in un’esistenza banale?) e si unisce alla bella cortigiana Kamala. Tra i punti di forza che ha appreso nel suo periodo ascetico, Siddharta impiegherà con grande profitto soprattutt­o il saper digiunare e il saper attendere. È quanto ci ricorda spesso papa Francesco, quando sostiene che il tempo è più importante dello spazio. Non vale tanto occupare spazi sempre maggiori nella società e nella storia attuale, quanto iniziare processi di verità, di giustizia e di pace, che potranno vivere anche dopo di noi. Siamo chiamati a seminare ma anche ad avere la pazienza del contadino, che sa attendere i tempi maturi per il raccolto. E questo ci fa rivivere il tempo di Avvento.

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