Sport, la città cerca un’identità «È il momento di scommettere»
Zobele: «Doppio polo». Brunialti punta sui giovani. Biancardi cita Treviso
TRENTO Nello scacchiere cittadino il futuro degli impianti sportivi è un gioco a incastri fermo ancora al primo set. I tasselli, del resto, sono tanti. E in gran parte da definire. C’è l’annosa questione dello stadio Briamasco, ormai vicino «scomodo» di Muse e Albere. Ma anche il nodo del nuovo impianto natatorio, che sta dividendo il mondo politico e non. E il destino del PalaTrento, troppo «stretto» per due squadre — Trentino volley e Aquila basket — che vogliono continuare a essere protagonisti dei rispettivi massimi campionati. Sullo sfondo, una suggestione che guarda a sud, a San Vincenzo di Mattarello, per visioni ben più ambiziose. E un’opportunità: la riflessione sulla città del futuro, che accompagnerà la costruzione del nuovo Prg. A tratteggiare scenari e prospettive dello sport del capoluogo, in un dialogo aperto tra discipline, sono figure che, a vario titolo, da anni vivono in prima persona lo sport cittadino: l’ex presidente della Dolomiti Energia Giovanni Zobele, il direttore generale del Calcio Trento Fabrizio Brunialti e la voce «storica» della Diatec Gabriele Biancardi, sollecitati dal consigliere dem Alberto Salizzoni.
Lo scenario
Il punto di partenza è una preoccupazione. O, meglio, una constatazione amara sui tempi della pianificazione. Troppo lunghi per i privati. «Il vero problema — apre il confronto Zobele — è che per la costruzione di un impianto, dal momento della decisione al taglio del nastro, possono passare anche dieci anni. E in questo tempo le esigenze possono anche cambiare: il rischio è di realizzare una struttura troppo piccola o troppo grande». Un esempio? «Uno stadio da 10.000 posti, magari commisurato alle esigenze attuali, risulterebbe piccolo se tra dieci anni il Trento fosse in serie B. Ma se, pensando in grande, si progettasse uno stadio da 30.000 posti e poi il Trento rimanesse in Eccellenza o in serie D, l’impianto sarebbe sovradimensionato». «Non possiamo però limitarci solo ai ragionamenti: bisogna fare qualche scommessa» incalza Brunialti. Che affronta subito il nodo del calcio cittadino.
Il Briamasco
«Oggi — dice il direttore generale — dobbiamo fare i conti con due difficoltà. La prima riguarda gli spazi del settore giovanile: attualmente siamo dei vagabondi, non sappiamo mai dove andremo ad allenarci». Il sogno? «Siamo stati a Vinovo, dove si allena il settore giovanile della Juventus. Lì capisci davvero come possono crescere i ragazzi: accanto c’è anche il liceo sportivo». L’altro problema è il Briamasco: «Lo stadio non c’entra nulla con il contesto attuale. Senza contare che il prossimo anno, in serie D, in concomitanza con le partite dovrà essere chiusa al traffico via Sanseverino per motivi di sicurezza. E lì vicino c’è il Muse». Problemi non da poco: «Abbiamo esigenze immediate, da risolvere in un tempo limitato». Quindi? Dove spostare il campo? «La localizzazione non è importante. È fondamentale però realizzare qualcosa di strutturato, da utilizzare per lo sport ma anche per altro: eventi musicali, spazi commerciali».
I «poli»
Qualcuno — in primis il patron del Calcio Trento Mauro Giacca — ha già pensato alle aree di San Vincenzo di Mattarello, 27 ettari inizialmente destinati alla cittadella militare, oggi di proprietà provinciale. Zobele accetta la sfida. E lancia una proposta concreta: «A Mattarello potrebbe essere realizzato un complesso sportivo per grandi eventi e agonismo, con stadio di dimensioni adeguate e palazzetto da 7.000 posti, mentre l’area di via Fersina potrebbe essere destinata all’allenamento del settore giovanile e alla piscina». Con una linea innovativa, almeno per Trento: la compresenza tra sport diversi («Spesso le discipline dialogano poco» nota Salizzoni). E qualche modello. «La Ghirada di Treviso (la cittadella dello sport, ndr) funziona bene» avverte Biancardi. Che lancia un appello: «Guardiamoci in giro. Copiare non è reato». In mente ci sono anche gli esempi di Pesaro («Spettacolare» ammette Zobele) e Cuneo. «Si chiamano arene — precisa Biancardi — perché sono circolari o ovali. Il nostro PalaTrento è l’unico a essere rettangolare. E ha un’acustica pessima: da speaker della Diatec da 15 anni, ne so qualcosa». Il nodo dolente è, ovviamente, quello economico. Uno stadio da 15.000 spettatori costa circa 13-14 milioni. E se tra due anni volley e basket saranno ancora in serie A servirà un palazzetto da almeno 5.000 posti (oggi sono 4.000).
Il dialogo
«La scommessa, in questo senso, sono i privati» avverte Salizzoni. Ma gli imprenditori trentini sono pronti a raccogliere il testimone? «Sì, purché ci sia un coinvolgimento. Istituendo un serio tavolo di confronto tra pubblico e privato potrebbero uscire ottime idee. È chiaro che l’ente pubblico deve essere disponibile a valutare le proposte» risponde Brunialti.
La piscina
L’ultimo tassello è l’impianto natatorio. Che non coinvolge né il mondo del basket, né quello del volley e nemmeno quello del calcio. Ma è un tema che non può non essere toccato. «Non conosco i dati nel dettaglio — dice Zobele — ma credo che l’obiettivo rimanga quello di realizzare una struttura sostenibile». Una visione condivisa anche da Brunialti e Biancardi. Il quale, per quanto riguarda il nuoto, punta il dito su un problema non da poco: «La convivenza tra attività ludica e attività agonistica, in piscina, non è facile». E poi torna ai ricordi dell’infanzia, quando al lido Manazzon si giocava con meno limitazioni di oggi. Ma più spensierati. Immagini che Zobele accompagna con un sorriso e una battuta: «Pensare che le strutture di cui stiamo parlando sono le stesse che frequentavo io da piccolo vuol dire essere rimasti proprio immobili».