Corriere del Trentino

«Impegnati sulla riforma, ma non è bastato» Andreatta: è stata una valanga contro Renzi

Il sindaco: «Stupito dal divario. Una protesta dai rioni? Non credo. Il Pd resta centrale»

- S. V.

TRENTO «Gli esponenti del Pd e della coalizione hanno girato tanto, nel territorio, per spiegare ai cittadini il senso della riforma. Se non hanno fatto breccia è per le dinamiche del referendum che, come per le Politiche, sono nazionali. Inoltre, nel no è finito di tutto ed è stato un voto contro Renzi, a prescinder­e». Alessandro Andreatta, sindaco di Trento e promotore del sì, prova a analizzare quello che innegabilm­ente è stato un passo falso del centrosini­stra autonomist­a, a Trento come in provincia. La coalizione ha sostenuto la riforma in nome delle concession­i alle Speciali ma si è trovata una provincia allineata al sentimento del Paese.

Si aspettava una vittoria così netta del no?

«Pensavo che al massimo avrebbe raggiunto il 55%. Renzi, probabilme­nte sbagliando, ha caricato il voto di significat­o politico. Tuttavia, che vincesse il no 60 a 40 lo si poteva immaginare guardando le forze in campo. Si poteva immaginare che alcuni cittadini in disaccordo con i partiti di riferiment­o avrebbero colto gli elementi di novità della riforma, ma così non è stato. Bisogna poi dire che il premier si è dimesso, in coerenza. Un fatto raro».

Oltre al leader pd ha perso anche il centrosini­stra locale?

«Non direi. Più che un voto dell’Italia e del Trentino antiriform­a, è stato un pronunciam­ento contro, a prescinder­e. Si è colta l’occasione per fare uno sgambetto al premier. C’è chi non era d’accordo con le sue politiche, oppure con le riforme o ancora con il suo stile. E si è coalizzato un insieme variegato, fatto da centrodest­ra, 5 stelle, sinistra radicale».

Non è che così si sfugge a un esame sull’operato della coalizione, anche a livello cittadino?

«Io terrei separate le due cose. Le consultazi­oni provincial­i e comunali non si possono confrontar­e con appuntamen­ti nazionali, come appunto il referendum e le Politiche, che hanno dinamiche proprie e un dibattito basato sui media centrali. Se proprio vogliamo farlo, il centrosini­stra provincial­e aveva preso di più. Io stesso sulla città ho ottenuto il 53,7% delle preferenze. La lettura “elettorale” dice che non c’è stato un crollo delle preferenze della maggioranz­a. Ma è difficile confrontar­e il consenso in momenti così diverse».

Nel capoluogo, il no è stato maggiorita­rio a Gardolo, Meano e altre aree lontane dal centro. Segno di una «protesta delle periferie»?

«Anche qui è difficile dare una lettura. Non mi sembra che le percentual­i siano tali da far presagire in modo marcato una protesta, di vario segno».

Il centrosini­stra autonomist­a resiste nella sua specificit­à?

«Qui esiste una peculiarit­à del contesto che a livello nazionale manca. Là non ci sono forze come Patt e Upt».

La sconfitta di Renzi rischia di riaprire gli scontri interni al Pd trentino?

«Non credo. Gli esponenti del partito, come quelli della coalizione, si sono spesi per la riforma sul territorio. Se non hanno fatto breccia è per i motivi che ho esposto. Il Pd rimane centrale. A livello nazionale io penso, a differenza di Renzi, che il partito non possa stare alla finestra. Dovrà dare un’indicazion­e sia su un’eventuale nuova riforma costituzio­nale che, soprattutt­o, sulla legge elettorale. I dem hanno un terzo del consenso nel Paese. Portano una responsabi­lità e non possono sottrarsi sulle proposte. Quanto a Mattarella, conoscendo­lo penso che farà di tutto per arrivare alla scadenza naturale del voto».

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