Meano, borgo critico «L’autonomia? Tema non sentito»
TRENTO Paura del cambiamento, rifiuto di una proposta poco convincente, ma anche accettazione supina di suggerimenti altrui. Il «no» di Meano alla riforma Renzi-Boschi è figlio di motivazioni differenti. C’è chi, come Roberta, ritiene che quel 58,71% di persone che ha bocciato la proposta sia «solo frutto del caso». Eppure è la percentuale più alta della città, seguita a brevissima distanza da quella di Gardolo: circoscrizioni periferiche, più giovani rispetto alle altre (e l’analisi del voto a livello nazionale dice che l’81% di chi ha fra i 18 e i 24 anni ha votato «no»), dove i redditi sono mediamente più bassi. Ma se di voto di frustrazione o scontento si è trattato, non riguarda la qualità della vita («Qui si vive bene» dicono i residenti), quanto piuttosto una sensazione di marginalità: «I partiti sono lontani da questi piccoli mondi» sostiene Franco Micheli, consigliere circoscrizionale di Insieme per il sobborgo (Upt, Patt e civici). Ex presidente della circoscrizione, punta l’attenzione su una realtà che conosce bene: «Sobborghi come Meano non sono né città, né Comuni di valle — spiega — ma zone secondarie che vogliono contare di più. In un periodo di crisi come questo, invece, conteranno sempre meno e la gente inizia a rendersene conto». Dal suo punto di vista, insomma, è un «no» che va oltre la riforma («Probabilmente non spiegata a fondo») e oltre Renzi, nonostante il risultato emerso sia la testimonianza che «alla fine si è votato pro o contro una persona». Insomma, secondo Micheli c’è parecchio su cui riflettere, dalla «grande affluenza», segno inequivocabile della «volontà dei cittadini di contare di più», alla scarsa presa delle tematiche autonomistiche, «che a tutt’oggi noi trentini non abbiamo mai valorizzato veramente né sentito come nostre».
Al voto si è recata una comunità consapevole forse solo in parte della propria specificità di autogoverno: «Nella cabina elettorale non ho pensato all’autonomia — conferma Fiorello — perché non la ritengo in pericolo». Nella sua scelta ha prevalso, però, «la disperazione»: orfano di una sinistra alla quale si sente ancora di appartenere, era deciso a optare per il «no», ma ha virato sulla casella accanto all’ultimo momento. «E alle prossime elezioni voterò Grillo». «Se i Cinque stelle si rimboccano le maniche e iniziano a fare, non limitandosi a criticare, potrei farlo anch’io» commenta Sergio, che la sua preferenza l’ha invece sempre indirizzata a destra. Ha votato «no per la maniera in cui è stato governato il Paese negli ultimi anni: il centrosinistra si è presentato come il salvatore della patria dal berlusconismo, ma ha fallito». Non è un voto sintomo di un disagio, quello di Meano: «I paesi sono ancora delle piccole isole felici — sostiene — è in città che negli ultimi anni il degrado si è percepito di più». «La qualità della vita è buona in questa parte di città, non si avverte il disagio né ci sono molti migranti — aggiunge Lucia Coppola, presidente del consiglio comunale che incontriamo a metà via fra la chiesa e il supermercato — credo che l’esito referendario sia frutto anche di un’appartenenza politica e partitica». A Meano, come a Gardolo, alle ultime elezioni comunali la Lega nord ha sfiorato il 20% di preferenze, un centinaio di voti in meno del Pd.
Anche Gabriella Tomasi ci dice che «qui si sta bene». Elettrice della Dc prima, Margherita e Pd poi, ha votato «sì perché mi sembrava si sarebbe compiuto un primo passo verso il cambiamento: c’erano aspetti della riforma che non condividevo, ma si sarebbero potuti aggiustare in corsa». E invece «la gente voleva solo far fuori Renzi» oppure «non ha capito il contenuto della riforma, che non è stata spiegata bene». «Leggere tra le righe è sempre più difficile — chiosa Roberta — perché i politici cercano di spacciare le cose per come non sono: ho votato “no” dopo aver cercato di capire i contenuti della proposta. L’autonomia? Sarebbe stato meglio il “sì”, ma certi aspetti non li ho proprio potuti digerire».