Detenuto trovato impiccato in cella La famiglia: «Vogliamo giustizia»
Il fratello chiede chiarezza, depositata una memoria. La Procura: indagini in corso
TRENTO Chiedono giustizia. Vogliono capire cosa è successo e soprattutto perché Luca, che era in cura da più di dieci anni per conclamati problemi psichici, è stato portato in carcere.
A distanza di un mese esatto dalla tragica fine del trentacinquenne roveretano, Luca Soricelli, che si è tolto la vita in carcere dopo l’arresto per l’incendio del distributore di benzina Agip a Rovereto, scendono in campo i familiari. Il fratello dell’uomo, Massimo, che si è sempre preso cura di lui, si è rivolto all’avvocato Stefano Trinco e ha depositato una memoria, chiedendo chiarimenti alla Procura su più punti, ancora poco chiari, delle triste vicenda. «Voglio capire che cosa è successo» ha spiegato Massimo all’avvocato. L’uomo non si dà pace e non riesce a capire perché la psichiatra, che lo aveva in cura ed è stata sentita dal giudice Carlo Ancona, abbia ritenuto che le condizioni di Luca fossero compatibili con il regime carcerario, nonostante la sua fragilità e i suoi problemi, che hanno radici lontane.
Luca non ha retto al carcere. Era detenuto nella cella dell’infermeria del carcere di Spini di Gardolo solo da due giorni quando, al culmine della disperazione, ha deciso di mettere fine alla sua vita. Ha scelto di porre fine alla sua esistenza difficile, offuscata da quella fragilità che già altre volte gli aveva fatto perdere il controllo, che lo trasformava in qualcuno che non era e non voleva essere. Ha atteso che l’agente della polizia penitenziaria si allontanasse e ha annodato un lenzuolo al cancello, poi si è impiccato. Pochi minuti. Il tempo per l’agente, che quella notte era da solo e copriva quattro posti di servizio, di terminare il giro di controllo, e Luca non respirava più. La disperata corsa contro il tempo dei soccorritori non è bastata a salvarlo. Se n’è andato in un soffio. Si è spento in una cella del carcere, nella solitudine. Ma lui, forse, aveva tentato di chiedere aiuto. Sporco di benzina, confuso e delirante, la notte dell’incendio — era la notte tra il 12 e il 13 dicembre scorso— si era presentato al pronto soccorso dell’ospedale Santa Maria del Carmine di Rovereto. «Ho incendiato un distributore» avrebbe detto agli infermieri, chiedendo un calmante. Poi erano arrivati i carabinieri e il medico. Soricelli era stato arrestato e il giorno dopo era stato processato per direttissima.
Davanti al giudice non aveva detto una parola, non era riuscito a giustificare il suo gesto. La psichiatra lo aveva visitato ma aveva ritenuto le condizioni di Luca compatibili con il carcere, così per lui si erano aperte le porte della casa circondariale. Ma alla fine non ha retto. Una tragedia immensa. Il fratello ora si appella alla Procura e chiede chiarezza. Il pm Davide Ognibene sulla triste vicenda ha aperto un’inchiesta, ma a modello 45, senza indagati e ipotesi di reato. Sta effettuando accertamenti e il fatto stesso che dopo un mese l’indagine sia ancora aperta fa pensare che, anche se al momento non ci sono indagati, la Procura intendere fare verifiche approfondite.