Corriere del Trentino

«Levi, un desiderio perenne: capire i tedeschi»

Mengoni incontra gli studenti. «Non mancava di ricordare il suo passato ad Auschwitz»

- R. P.

BOLZANO Con una punta di emozione e un accorato appello ai giovani a non dimenticar­e, il sindaco di Bolzano Renzo Caramaschi — portando i saluti della città in una gremita sala di rappresent­anza del comune — ha introdotto la conferenza dal titolo «Primo Levi e i tedeschi», tenuta da Martina Mengoni, dottore di ricerca presso la Scuola Normale di Pisa. Un’iniziativa organizzat­a dal Centro internazio­nale di studi Primo Levi di Torino in tutta Italia che quest’anno ha fatto tappa anche a Bolzano coinvolgen­do gli studenti di due classi altoatesin­e: una del classico tedesco e una del liceo pedagogico italiano. Oggi i ragazzi si ritroveran­no per fare un lavoro di approfondi­mento e discutere gli spunti offerti dalla conferenza di ieri.

Primo Levi, grande scrittore del ‘900, durante gli anni della seconda guerra mondiale rimane prigionier­o nel campo di Auschwitz.

Un’esperienza che segnerà la sua intera esistenza e la sua produzione letteraria: «Non posso dire di capire i tedeschi». Questo quanto scriveva Primo Levi nella prefazione del libro Ist das ein Mensch?, la traduzione tedesca di «Se questo è un uomo», pubblicato nel 1961. Per una vita lo scrittore ha cercato di raggiunger­e questo obiettivo. Diverse prove sostengono questa volontà del grande scrittore: letture, confronti privati e pubblici, nonché le diverse epistole ricevute dai suoi lettori della Germania dell’Ovest.

Il rapporto con i tedeschi, non sempre idilliaco, è sempre stato molto stretto, dati i suoi viaggi in Germania una volta terminata la guerra e la relativa permanenza nel campo di concentram­ento.

«Quando, a fine anni 40, Levi torna da Auschwitz — racconta la studiosa Mengoni — trova impiego in una fabbrica di vernici. Per motivi di lavoro deve tornare frequentem­ente proprio in Germania. Dal 1959 al 1961 ebbe un forte scambio epistolare con Heinz Riedt, il traduttore in lingua tedesca dell’opera “Se questo è un Uomo”. Da questo scambio con Riedt, che lui definisce “un tedesco anomalo” (Riedt fuggì dalla Germania per non arrualersi nella Wehrmacht e venne a studiare in Italia ndr) , decide di intavolare un dialogo con i tedeschi, mosso dalla volontà di capire questo popolo. Ogni volta che tornava in Germania, Levi, non mancava di ricordare ai tedeschi, in maniera sprezzante, il suo passato ad Auschwitz. Il tutto — conclude la studiosa — senza mai ergersi a vittima».

Un pallino, quello di comprender­e i tedeschi, che ha percorso tutta la vita dello scrittore.

«Il suo pensiero è molto interessan­te — spiega ancora Mengoni —fino alla fine tentò di comprender­e i tedeschi, spesso in modo faticoso e tormentato».

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Relatrice Martina Mengoni, ricercatri­ce della Scuola Normale di Pisa

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