«Guerra e trementina» I destini dentro la Storia
La trementina è una resina di origine vegetale che si estrae dalle conifere: distillata, viene utilizzata come solvente nella produzione di vernici e pitture. Non molti sanno cosa sia. La guerra è più difficile da definire, ma tutti sanno cos’è. Urbain Joseph Emile Martien conosceva l’una e l’altra. Il padre Franciscus era pittore di chiese, un animo quieto e senza un soldo, morto troppo giovane per una moglie e quattro figli che non riuscirono mai a farne a meno. Urbain portava i suoi zoccoli di legno in fonderia fin da piccolo, sbirciando ogni tanto nella libreria all’angolo di Voldersstraat e Veldstraat, a Gand, sua città natale, per essere scacciato in pochi istanti dal proprietario: «Per quanto tempo hai intenzione di startene qui a toccare i miei libri preziosi?». Ma bastava un attimo davanti alle «mani e gli occhi dei magnifici Van Dyck, capelli, turbanti, abiti svolazzanti, spalle muscolose, i serpenti accoppiati del Tiepolo, lo sguardo umile rivolto a terra di una ragazza di Jordaens, la strana espressione di un osservatore in un dipinto di Piero Della Francesca, i sottili archi palladiani delle ville sullo sfondo di affreschi, pavoni maestosi e faraone nei cortili simbolici di De Hondecoeter», per farli propri, assimilarli, desiderare di riprodurli su carta e tela come faceva suo padre sui muri e i soffitti delle chiese.
Ma la guerra, quella Grande, interruppe tutto. Quattro anni di ferocia e distruzione, dentro e fuori di sé, con l’esercito belga in disfatta, nei boschi di Schiplaken dove l’unico modo per calmarsi era abbozzare qualche schizzo dei volti addormentati dei compagni di sventura. Poi il ritorno a casa, a combattere contro gli incubi, scoppiando a piangere solo «sentendo il profumo di lenzuola appena stirate o di una tazza di latte caldo». La pace, quella Grande, la trovò solo nel volto di «una ragazza dalla bellezza fiera, dai capelli neri, che si muove lenta e sicura nel cortile». La guerra finì. «Respiro e sospiro/Solo te desiro/Amami». Ma l’amore che chiuse la guerra non resistette alla malattia, e per Urbain cominciò una nuova guerra. Un matrimonio solidale e vuoto, la vita che lo tirava giù a rasentare la follia, il ricordo senza pace della madre e dell’amore sfuggito, la consolazione del dipingere, facendo da sé o copiando i capolavori di Velázquez e Rembrandt, perché «la realtà della vita spesso si nasconde nei luoghi in cui meno ci si aspetta di trovare autenticità».
Guerra e trementina è l’ultimo libro di Stefan Hertmans, autore belga di lingua fiamminga nato a Gand nel 1951, tradotto in Italia da Laura Pignatti per Marsilio Editori. Un «oggetto narrativo non identificato», usando una definizione dei Wu Ming: non un romanzo, non una biografia, ma un testo ibrido che, partendo da un diario nel quale il nonno ripercorre la sua vita, dall’infanzia povera all’ecatombe bellica, porta Hertmans a lavorare sul passato, tra la storia e i destini, alternando gli sguardi, incrociando il suo con quello del nonno, ricostruendo come un restauratore paziente «l’esistenza del soldato che per necessità aveva dovuto essere e quella dell’artista che avrebbe invece desiderato diventare».
«I giorni stanno, come angeli d’oro e d’azzurro, inafferrabili sopra la cerchia della distruzione», è la citazione di Remarque che apre il libro.
Al di là delle nuvole, Beyond the Clouds, come la cuvée di uve bianche di Elena Walch che dalla terra fa emergere un capolavoro.