Reynaud-Dewar e gli stereotipi d’oggi La grande mostra dell’artista francese: da venerdì prossimo al Museion Video, installazioni e oggetti
«S ilver is the new black»? La domanda appare legittima alla luce del video che Lili ReynaudDewar presenterà in occasione dell’esposizione «Teeth, Gums, Machines, Future, Society» che verrà inaugurata venerdì 27 (ore 19) a Museion. A meno di tre anni di distanza, infatti, l’artista di La Rochelle ritorna a danzare nuda e «in tinta unita» tra le stanze del museo d’arte contemporanea bolzanino. Lo farà, però, con il corpo completamente argentato (in omaggio ai cyborg)e non più «all black» (in omaggio a Joséphine Baker).
Questo cambio cromatico segna l’ulteriore passo in avanti del percorso artistico di Lili Reynaud-Dewar che approfondisce l’esplorazione delle regole e delle relazioni tra generi e «gruppi etnici» e su come queste agiscano sulla costruzione dell’identità individuale.
Per farlo, l’artista si è immersa in precisi contesti di «confine», quelli in cui lo scontro o il confronto si fanno più duri e sensibili. Confini che non sono solo quelli, per lo più astratti, relativi alle relazioni umane, ma anche quelli più concreti del corpo umano. In particolare, sono due i «confini» su cui si è concentrato il lavoro: Memphis, città oggi a maggioranza afroamericana dove venne ucciso Martin Luther King, e differenti tipi di protesi. Più precisamente, quelle che rendono gli umani simili ai «cyborg» (pacemaker, arti artificiali, seni al silicone...), nonché quelle dentali (ornamentali e rimovibili) dette «grillz».
A Memphis, l’artista ha girato il film Teeth, Gums, Machines, Future, Society, che dà il nome alla mostra e che verrà proiettato su un grande schermo al quarto piano di Museion. Nel video sono contenuti tutti gli elementi sopra descritti: la storia meno recente di Memphis, segnata dallo schiavismo e dal «Sanitation Strike» (lo sciopero dei netturbini del febbraio 1968 che precedette di poche settimane l’attentato a Martin Luther King), nonché la sua attualità, segnata dalla cultura hip hop afroamericana, in particolare quella della scena «Dirty South» in cui sono nati i «grillz».
Questi ultimi, successivamente diventati molto «trendy», sono protesi, spesso trasformate in gioielli, che ricoprono i denti, identificati come confine «sensibile» del corpo umano e come incarnazione fisica della resistenza (a «denti stretti»), nonché «simbolo» del proprio status sociale (negli Stati Uniti l’assistenza medica odontoiatrica non è esattamente «per tutti»). A completare il film, l’intervento di quattro «stand up comedian» e le parole del «Cyborg manifesto» di Donna Haraway.
Ma l’esposizione al quarto piano di Museion prevede anche sei «grillz» di grandi dimensioni che fungeranno anche da cestino dei rifiuti, ventisei pannelli appoggiati alle pareti e diversi poster, abbandonati a terra, contenenti brani, in italiano e in tedesco, del «Cyborg Manifesto».
Qui ne riproponiamo uno per le suggestioni che potrebbe suscitare anche sul pubblico locale: «Noi possiamo essere i responsabili delle macchine, loro non ci dominano né ci minacciano; noi siamo i responsabili dei confini, noi siamo loro».
Complessivamente, l’operazione intende spingere il visitatore a interrogarsi sul pensiero binario («giusto/sbagliato», «sé/gli altri», «verità/illusione» o «uomo donna»...) per allontanarci da un dualismo concettuale che per Donna Haraway (e Lili Reynaud-Dewar) non è simmetrico, ma è basato sul predominio di un elemento sull’altro (degli uomini sulle donne, dei «bianchi» sui «neri», del capitale sui lavoratori...) per avvicinarci al «cyborg», inteso come metafora della condizione umana di oggi. Perché il cyborg è sia uomo che macchina, supera le categorie di genere e, sospeso tra realtà e finzione, diviene simbolo di un mondo che, piaccia o meno, è (e sarà) sempre più ibrido.
Al superamento del pensiero binario, in particolare del «noi/loro», lavora anche Nicolò Degiorgis, «guest curator 2017», che, nell’anteprima numero uno dell’esposizione «Hämatli & Patriae» presenta «Heimatkunde». Un libro d’artista che il fotografo altoatesino ha creato per l’occasione ispirandosi al suo personale quaderno di «Heimatkunde», materia insegnata nelle scuole elementari tedesche dell’Alto Adige fino ai primi anni Novanta. Per indagare i confini e le prospettive della «Heimat», Degiorgis parte, quindi, dalla materia che esplorava il mondo che circondava l’alunno: famiglia, amici, struttura sociale, storia e geografia del territorio. Il libro sarà esposto come installazione sia a Museion/Passage (fino al 12 marzo) che all’interno della scuola Alexander Langer di Bolzano. «Teeth, Gums, Machines, Future, Society» di Reynaud-Dewar, prima personale in Italia, resterà aperta invece fino al 7 maggio.