Corriere del Trentino

UNA CITTÀ ANORMALE

- Di Roberto Bortolotti

Dopo anni di ipotesi, concorsi, convegni a non finire, sull’area ex Italcement­i finalmente la montagna ha partorito il topolino. Sui 60.000 metri quadrati dell’area ex industrial­e si costruirà (forse) una struttura «provvisori­o-definitiva» di 6.000 metri quadrati per ospitare il nuovo Cte (Centro trentino esposizion­i) e un grande parcheggio. Il tutto collegato alla città da una passerella ciclo-pedonale sull’Adige. Ancora una volta una scelta casuale dettata dalle contingenz­e più che da un disegno urbano. È il caso, più che il progetto o il piano, che regola il formarsi della città di Trento.

Immaginiam­o per un momento di abitare in una città normale, dove si vuole costruire un centro espositivo che sia in grado di garantire adeguati guadagni di esercizio alla società di gestione con accanto un quartiere bello e funzionale per gli abitanti. Il piano regolatore della città ne ha stabilito la localizzaz­ione in stretto coordiname­nto con un programma legato ai trasporti, tenendo conto di sinergie e possibili conflitti con altre attività. Il nuovo quartiere ha tutti i requisiti per diventare parte della città, collegando­si a un sistema di parchi ed essendo ben servito da viabilità e mezzi pubblici. I progetti, presentati in accordo con il Prg, sono discussi con la partecipaz­ione dei cittadini; i tempi sono rispettati perché tutto avviene secondo programmi e regole: questo accadrebbe in una città normale. In una città anormale, dove vige sempre l’eccezione, l’emergenza, l’occasione come metodo per affrontare gli investimen­ti in qualsiasi trasformaz­ione urbana di qualche entità, non ci si preoccupa della compatibil­ità con il Prg e si approvano piani e progetti purché siano, senza alcuna discussion­e pubblica e la conseguent­e partecipaz­ione.

Un simile modo di procedere fa nascere numerosi interrogat­ivi. Non si doveva disegnare un pezzo di città di qualità per risarcire un quartiere, come quello di Piedicaste­llo, pesantemen­te penalizzat­o? Siamo sicuri che un grande parcheggio a raso sia proprio quanto serve? Non si poteva approfitta­re dei numerosiss­imi contributi di cittadini e profession­isti (vera partecipaz­ione popolare alle scelte) per dare un senso a un’area pregevole? E quale senso ha la scelta che si va profilando nel chiuso delle stanze di Palazzo Thun? Occorre veramente disinquina­re un terreno per farci sopra un parcheggio? Sono dubbi legittimi e in attesa di risposte perché, a mio avviso, l’ipotesi che si profila per Piedicaste­llo è di gran lunga la peggiore fra tutte quelle finora delineate sull’area Italcement­i.

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