Donne e ateneo, ancora molti ostacoli
Rapporto «Garcia», dati preoccupanti. Trento, le docenti ordinarie sono solo l’11,8%
La carriera universitaria, per le donne, è un percorso a ostacoli. È quanto emerge dai risultati del progetto Garcia, finanziato con oltre due milioni di euro dalla Commissione europea e coordinato dall’università di Trento. Nell’ateneo trentino, ad esempio, le ordinarie sono solo l’11,8 per cento del totale, ancora peggio della media nazionale del 21,4 per cento. Per le donne è difficile in particolare, secondo quanto emerso, accedere ai posti stabili.
TRENTO Come una conduttura che perde, il mondo della ricerca si connota per una progressiva dispersione dei suoi giovani talenti, in particolare se donne. Anche all’università di Trento.
Se, infatti, il numero di studenti e studentesse sostanzialmente si equivale, la forbice delle carriere universitarie e di ricerca si divarica con l’avanzare della professione: le ordinarie sono solo l’11,8 per cento del totale, ancora peggio della media nazionale del 21,4 per cento.
È quanto emerge dai risultati del progetto Garcia, finanziato con oltre due milioni di euro dalla Commissione europea e coordinato dall’università di Trento: durato tre anni, è arrivato ora alla sua fase conclusiva. Fra le azioni portate a termine, l’estensione del reddito di attivazione anche alla figura dell’assegnista in provincia di Trento.
Garcia ha indagato le differenze di genere all’interno del mondo accademico, con un’attenzione particolare alle prime fasi della carriera, nelle quali, secondo Barbara Poggio, che ha supervisionato l’implementazione delle azioni pianificate dal progetto, «già iniziano gli svantaggi delle donne, che risultano poi particolarmente visibili nei processi per accedere a posizioni stabili». Per questo, e per il fatto che «una parte crescente delle attività di ricerca è realizzata da ricercatori con contratti temporanei — aggiunge ancora Poggio — le azioni mirate alle figure professionali nelle prime fasi della carriera dovrebbero essere sistematicamente incluse nei Piani di azioni positive delle università».
Se l’ateneo trentino vi ha dedicato una scheda specifica, è anche grazie a Garcia. Nei suoi primi 18 mesi di studio, condotto fra il dipartimento di sociologia e quello di ingegneria e scienza dell’informazione, il progetto ha messo in evidenza come all’università di Trento «il 42 per cento della ricerca venga svolta da personale a termine o in posizioni temporanee, a fronte del 33 per cento della media nazionale» spiegano la coordinatrice scientifica Annalisa Murgia e la collega Rossella Bozzon.
Al Disi (dipartimento di ingegneria e scienza dell’informazione), inoltre, non ci sono donne in posizione di ordinario, a sociologia sono solo due. Al contrario, nel dipartimento di città gli assegnisti e i ricercatori a tempo determinato sono il 30 per cento del totale (l’età media è di 36,7 anni), in collina sono il 56,4 per cento (con un’età media pari a 35,6 anni) e le donne sono sempre in maggioranza.
«Il livello di soddisfazione per le condizioni di lavoro all’università di Trento è buono — sottolineano le studiose — ma la mancanza di sicurezza della posizione lavorativa, l’assenza di opportunità di avanzamento di carriera e l’invisibilità di certa parte del lavoro che viene svolto e spesso attribuito ad altri, sono gli elementi di scontento». Emerge, inoltre, come le assegniste tendano a essere maggiormente impiegate rispetto ai colleghi uomini negli «housework of academia», ovvero tutta quella parte del lavoro che non è né remunerata né riconosciuta (si va dai compiti amministrativi all’impegno con i tesisti fino alla stesura di progetti per altri).
È a partire da queste evidenze che è stato elaborato un piano di azioni, con interventi mirati ai professionisti nelle prime fasi di carriera. All’università di Trento, in particolare, è stato creato un nuovo portale web istituzionale dedicato a dottorandi e assegnisti con un’area di mentoring online, sono stati realizzati workshop e colloqui individuali, ma soprattutto si è riusciti a estendere il reddito di attivazione anche agli assegnisti, che in Italia non accedono agli strumenti di sostegno al reddito: 600 euro mensili fino a un massimo di sei mesi.