«Io e Dapporto affrontiamo i diritti negati»
Pergine Solenghi sul palco con l’amico Dapporto interpreta «Quei due» «È stato emozionante: non avevo mai recitato la parte di un omosessuale
L’amore universale in scena mercoledì a Pergine con Tullio Solenghi e Massimo Dapporto in «Quei due». «È stato emozionante, non avevo mai recitato la parte di un omosessuale», dice Solenghi.
L’Inghilterra degli anni ’60, il sottoscala di una barberia e due uomini, Harry e Charlie, costretti ad amarsi in clandestinità. Ecco gli ingredienti di Quei
Due, lo spettacolo che Tullio Solenghi e Massimo Dapporto porteranno al Teatro Comunale di Pergine Valsugana mercoledì 25 gennaio alle 20.45. Una splendida commedia sull’amore, tanto omo quanto eterosessuale, che invita a riflettere, con ironia e intelligenza, sui diritti negati, sulle verità nascoste e su tutte quelle regole — più o meno formali — imposte dalla società. «Perché le leggi del cuore sono universali e il miglior modo per farci maturare è raccontare la quotidianità con un sorriso» — svela Solenghi.
I due uomini, infatti, vivono all’ombra di un processo che Charlie dovrà affrontare per sospetto di omosessualità e per atti osceni in luogo pubblico. Il prezzo da pagare per trent’anni d’amore. E oggi? Scritto nel 1966 da Charles Dyer, Quei Due fu messo in scena la prima volta dalla Royal Shakespeare Company con Paul Scofield e Patrick Magee, arrivando al cinema nel 1969 con l’interpretazione di Richard Burton e Rex Harrison.
Solenghi, cosa ha significato per lei vestire i panni di Harry?
«È stato molto emozionante: non ho mai recitato prima la parte di un omosessuale. Harry è un uomo divertente e tenero, ma con un passato doloroso alle spalle. La sua sofferenza è una conseguenza del Buggery act, la legge che perseguitava gli omosessuali adottata in Inghilterra nel 1533 e abolita soltanto nel 1967. La stessa per cui fu rinchiuso in carcere anche Oscar Wilde».
Con lei sul palco Massimo Dapporto: amici da una vita, vi siete ritrovati a collaborare per la prima volta proprio con questo testo. Com’è andata?
«Molto bene. Da tempo ci sarebbe piaciuto lavorare insieme e quando è capitata questa occasione l’abbiamo afferrata al volo. Sono convinto che noi artisti abbiamo una grande responsabilità per la crescita culturale del Paese».
Dal «Buggery act» alla Cirinnà, la legge che disciplina la convivenza di fatto per gay ed etero: dei passi avanti sono stati fatti, ma è abbastanza?
«Direi proprio di no: in Italia siamo ancora molto indietro e ognuno di noi deve dare un contributo per aumentare la coscienza civile su certi temi. È d’esempio Renato Zero, nel campo musicale, così come lo è stato Paolo Poli per il teatro: entrambi hanno dato una forte spinta perché si iniziasse a discutere di un tema che molti preferivano tenere nascosto».
Lo spettacolo usa la chiave dell’ironia: come reagisce il pubblico?
«È profondamente colpito e partecipe. Ne siamo davvero orgogliosi e sono certo che l’ironia sia il linguaggio più adatto: un messaggio è accolto molto meglio se consegnato con un sorriso piuttosto che un rimprovero. E poi, sa una cosa?».
Dica.
«Le persone che ci vengono a vedere, per la maggior parte etero, si immedesimano nei protagonisti: le liti di Harry e Charlie, così come le loro paure o gli attimi di dolcezza, non sono poi così diversi. E questo perché l’amore, di qualunque genere sia, è sempre universale».