IL MALESSERE DEI DEMOCRATICI
Se il centrodestra non ride, neppure il centrosinistra ha motivo di essere felice. E, almeno a giudicare dalle ultime notizie chi ride meno di tutti, nel centrosinistra, è il Pd. Le dimissioni (forse rientrate) di Roberto Pallanch a Rovereto, quelle di Elisabetta Bozzarelli (annunciate ma non formalizzate al segretario provinciale) a Trento e la mancanza del numero legale all’ultima assemblea indicano un partito in difficoltà proprio laddove dovrebbe essere più forte, ossia nei centri urbani.
Il Pd trentino è sempre stato il partito delle città, dove l’elettorato è più attento alle dinamiche politiche nazionali. Trento, Rovereto, Riva del Garda e gli altri centri urbani hanno sempre costituito il bacino principale del suo consenso. Di converso, non ha mai riscosso successi importanti nelle valli, dove prevalgono dinamiche più locali. Liquidare però la crisi del Pd trentino come un riflesso delle difficoltà che incontra il partito a livello nazionale potrebbe essere fuorviante e rischia di nascondere le ragioni più profonde della crisi. Qualche tempo fa, un importante esponente della politica provinciale mi confessava che, se vuole parlare con il Pd, non sa mai chi contattare. Mi ha ricordato ciò che diceva Henri Kissinger quando, da segretario di Stato, chiedeva il numero dell’Europa per poter interloquire con qualcuno che rappresentasse l’intera Ue. Come l’Europa, nel corso del tempo, si è data un alto rappresentante per gli affari esteri, così anche il Pd ha ovviamente un segretario. Nel Vecchio Continente come fra i dem, tuttavia, rimane una cacofonia di voci. L’attuale Pd sembra attraversato da lotte infinite tra i diversi membri uniti dall’esigenza di governare più che da una visione comune. Purtroppo, simili personalità non esprimono nemmeno delle correnti strutturate capaci di confrontarsi, dato che nessuna di loro sembra in grado di rappresentare settori importanti dell’elettorato. La conseguenza è che il partito pare condannato all’autoreferenzialità e all’introversione.
Una delle battute che gira più frequentemente a Bruxelles è che il segretario di Stato americano adesso ha un numero di telefono da chiamare, ma all’altro capo risponde una voce automatica che dice: «Per il francese, premi 1; per il tedesco, premi 2; eccetera». Ho l’impressione che quando l’esponente politico a cui facevo riferimento chiama il segretario del Pd, risponda una voce automatica che dice: «Per sapere cosa pensa Tizio, premi 1; per Caio, premi 2».