Arriva Il Ballo di Viganò «La società giudica tutti»
Il regista: «Viviamo condizionati dalle opinioni altrui»
«Noi abbiamo il coltello per il manico e la lama nella carne, noi abbiamo la meta davanti agli occhi, il passero in pugno, il corvo sulla spalla, il pollo in pentola, il capello nella minestra, l’anello al dito e infilato nel naso. Siamo tutti muniti di anello alla gamba posteriore come uccelli rari. Non abbiamo più ali ma meno fastidi». Così termina Inventario, poesia di Rolf Heuer, e così inizia Il ballo lo spettacolo di Antonio Viganò e del Teatro La Ribalta che andrà in scena domani e venerdì sera al Teatro Comunale (alle 20.30), terzo appuntamento della rassegna «Altri percorsi» curata dallo Stabile di Bolzano.
Per il regista brianzolo, trapiantato a Bolzano, Il Ballo è qualcosa di più del nuovo spettacolo, è «il manifesto poetico della compagnia». Gli abbiamo chiesto il perché: «Perché in scena c’è quasi tutta la compagnia — spiega — Tredici attori per uno spettacolo corale e forte che consideriamo una alta e bella scommessa. Ma è il nostro manifesto soprattutto perché portiamo in scena uno spettacolo che ci riguarda. Ci siamo ispirati a Sartre che spiega come sia lo sguardo degli altri a definirci e questo, per la nostra speciale compagnia, ha un senso immediato e un effetto preciso. Come attori e come persone».
E tornate al teatro-danza...
«Fa parte della nostra poetica che credo sia originale e ormai riconoscibile. È il frutto della collaborazione con Julie Ann Stanzak ma è anche il mio modo personale di vedere il teatro».
Ha definito «Il ballo» uno spettacolo con grandi muri e senza finestre. È un anche un manifesto pessimista?
«I personaggi dello spettacolo sono prigionieri in una stanza che è metafora del mondo, prigionieri delle abitudini e delle convenzioni e per chi vive così, probabilmente, è meglio non trovare finestre per evitare altri tormenti».
Ecco, appunto, sembra proprio un manifesto pessimista.
«No, ha anche momenti divertenti, non è un tunnel. Lo spettacolo è ispirato a A porte
chiuse di Jean Paul Sartre e Luigi Pirandello. In particolare, partiamo dal presupposto pirandelliano che tutti ci giochiamo la maschera sociale al di là del benessere e che siamo altro di quanto appariamo. Per noi, però, il riscatto è che siamo in scena per uno spettacolo. La nostra possibilità di raccontare è chiaramente liberatoria. È anche un’indagine sul senso di questa nostra appartenenza al teatro».
Il teatro non è più una finestra aperta sul mondo?
«Sì, ma credo che in parte sia cambiata la sua funzione. Prima era un luogo di finzione, lo è ancora, ma oggi si va a teatro anche per trovare la verità, per vederla svelata».
Tredici attori in scena per «Il Ballo», una lunga tournée internazionale, dall’Iran alla Polonia. La vostra compagnia non smette di crescere ....
«Credo che grazie a Il ballo l’intera compagnia abbia fatto un grande salto di qualità, per forza poetica e di linguaggio, ma anche per il ritmo e i codici coreografici. Credo che gli attori ne escano molto bene e il risultato si vede».
È uno spettacolo corale e forte, con 13 attori : è il nostro manifesto
La funzione del teatro è mutata: il pubblico non vuole la finzione, ma la verità