«Ateneo usato come bancomat»
Casse vuote, l’ex rettore contro Rossi. «La visione? Da encefalogramma piatto»
Sono durissime le considerazioni dell’ex rettore Davide Bassi sulla situazione dell’ateneo, «usato come un bancomat» dalla Provincia che negli anni ha accumulato oltre 200 milioni di debiti. Alla giunta e al suo presidente viene attribuita «una politica ad encefalogramma piatto» che non vede più nell’ateneo «una priorità». I soldi sarebbero andati altrove, seguendo il consenso elettorale. Il rischio paventato è di avere un ateneo di scarsa qualità: «In un’università “per trentini” studieranno solo coloro che non possono permettersi di andare altrove» afferma l’ex magnifico.
TRENTO L’ex rettore Davide Bassi è un fiume in piena. «La situazione dell’Università di Trento? Cosa ci si può attendere da una visione politica ad encefalogramma piatto? Se si va avanti così, l’ateneo che è salito lentamente dalle scale cadrà rapidamente dalla finestra». L’ex «magnifico» di Trento non cita nemmeno l’assessora Sara Ferrari. Punta direttamente al vertice della giunta: «Il ragionier Rossi abbia il coraggio di dire se per lui l’Università è ancora una priorità».
Professore, in questi giorni abbiamo riferito di come l’ateneo sia dovuto ricorrere a ogni anticipo di cassa possibile, compreso l’indebitamento, per pagare stipendi e bollette, visto l’ammanco di cassa di oltre 200 milioni di euro che la Provincia ha messo a bilancio ma non erogato.
«Questo era il vizio che aveva anche lo Stato. Ad aiutare l’Università era proprio la Provincia, che invece pagava regolarmente i suoi impegni. Diciamolo chiaramente: se oggi l’Università di Trento è uno dei migliori atenei d’Italia il merito è della Provincia autonoma di Trento che aveva compreso l’importanza strategica dell’Università e si era comportata di conseguenza. Negli ultimi anni, invece, la giunta vede l’Università solo come una voce di costo. Questo nuovo atteggiamento non fa bene all’Università, ma non fa bene nemmeno al territorio. La delega è una cosa seria: non ci si può impegnare a fare delle cose e poi non onorare gli impegni».
Ma non si tratta solo di una questione contabile?
«Dieri proprio di no. Chiamate di docenti non se ne fanno più, l’edilizia è bloccata. Non si fanno più nemmeno le manutenzioni. Come tutti sanno, i docenti come arrivano in un ateneo, così se ne vanno. La salita è sempre lenta e faticosa, la discesa invece è molto rapida. In questi ultimi anni, l’Università è stata usata come un bancomat, questo è un dato di fatto. Di fronte alla contrazione delle risorse, sono state individuate delle priorità e l’Università non era più tra queste. La Provincia ha elaborato bilanci discutibili, continuando a trovare i soldi per interventi che si ritiene generino consenso e voti, mettendo in coda il resto. L’Università garantisce pochi voti ed è finita in coda».
Di fronte alla tensione finanziaria dell’ateneo, c’è chi è tornato a interrogarsi sull’opportunità della delega provinciale sull’Università.
«Lo ripeto: l’Università di Trento è quella che è grazie alla lungimiranza della Provincia. Anche i detrattori della delega sono stati beneficiati dalle risorse in più che la Provincia garantiva».
Lo stesso rettore Paolo Collini, però, osserva che i benefici sono stati pochi, visto che anche prima la Provincia garantiva delle risorse in più.
«Il rettore forse avrebbe fatto bene a denunciare prima, pubblicamente e con maggiore durezza ciò che stava avvenendo ai danni dell’ateneo. Ciò detto, la delega resta una scelta opportuna perché se prima gli accordi con la Provincia duravano quattro anni, al termine dei quali non vi era alcun obbligo di rinnovo, ora la quota in più rispetto al finanziamento ordinario dello Stato è parte delle delega stessa. Si faccia dunque attenzione a dire che se ne può fare a meno. Ma la Provincia non può dire “tra qualche anno ti pagherò”. Piuttosto, si abbia il coraggio di dire che l’Università non è più una priorità».
Già qualche mese fa, con le borse di studio, la Provincia si mostrò tiepida nel mettere la mano al portafoglio. «Tanto non sono per i trentini» venne detto negli incontri riservati.
«Da qui si capisce qual è oggi la visione dell’Università. Un’ateneo “per i trentini” è destinato a diventare una piccola realtà di provincia cui alla fine andranno a studiare solo i trentini che non si possono permettere di andare altrove. È questo che si vuole?».
E gli enti di ricerca?
«Non mi faccia parlare anche di quello. Niente più che un costo da tagliare».