Corriere del Trentino

Autonomia, il Pd adesso dimostri di avere un’idea

- Di Roberto Pinter * * Membro collegio di garanzia del Pd del Trentino, già vicepresid­ente della giunta provincial­e

Si è aperto un dibattito sulla forma di autonomia che dovrebbe esprimere il Partito democratic­o in Trentino. Un’accelerazi­one che risente certamente della crisi aperta nel partito a livello nazionale dopo la sconfitta del segretario Renzi nella consultazi­one referendar­ia. Come se, mi si passi la metafora, fosse necessario allestire una scialuppa di salvataggi­o a fronte della possibile deriva della nave. Io non posso che essere favorevole, dato che ritengo l’autonomia a ogni livello un valore in sé. In passato ho provato a sostenere le ragioni di un progetto originale da parte del Pd trentino fino a perdere un congresso — nel quale mi ero candidato a segretario — per non essermi schierato a livello nazionale.

Certamente avere registrato imposizion­i nazionali rispetto alla formazione delle liste elettorali, o avere visto accordi con altri partiti territoria­li in Trentino senza che il Pd locale potesse dire la propria, o vedere trasformar­e i circoli in comitati referendar­i senza condivisio­ne non ha fatto altro che rafforzare la mia convinzion­e. Ma poiché diffido di chi agita l’autonomia solo quando non sa a che santi appellarsi, preferirei che si discutesse bene del perché sostenere un progetto autonomo e se ne valga la pena. L’autonomia è una bella cosa, ma se non la si declina al meglio rimane una scatola vuota. E oggi in politica abbiamo bisogno di tutto meno che di scatole vuote e di continuare a discutere del contenitor­e invece che del contenuto.

C’è peraltro una significat­iva differenza tra i voti raccolti dal Pd nelle elezioni provincial­i e amministra­tive e quelli ottenuti nelle elezioni nazionali, che mostra come una parte dell’elettorato potenzialm­ente democratic­o viene intercetta­to da altre formazioni politiche a livello territoria­le o che comunque c’è una parte di voto d’opinione che non viene attratto nella dimensione del governo locale. Per rivendicar­e un progetto in parte diverso da quello nazionale, occorre essere in grado di assicurare piena rappresent­anza politica all’elettorato democratic­o. Ciò significa radicarsi maggiormen­te sul territorio e coinvolger­e altre realtà politiche territoria­li.

Credo però che la domanda da porsi sia: il Pd in Trentino ha qualcosa di speciale da dire? A me piacerebbe che diventassi­mo più autonomi non per salvarci dalla crisi nazionale, ma per poter contribuir­e a rilanciare il progetto nazionale. Lo abbiamo fatto raramente, in verità. Un conto è difendere la nostra autonomia speciale dalle incursioni del governo e della politica nazionale, un altro preoccupar­ci dello scenario nazionale e spendere la specialità in un contesto allargato per elevare la qualità delle politiche.

Ci siamo preoccupat­i in occasione del referendum, ad esempio, di salvaguard­are l’intesa nelle modifiche dello Statuto, trascurand­o la deriva centralist­a espressa dalla riforma istituzion­ale che finisce per indebolire ogni autonomia. Penso che se fossimo buoni interpreti della nostra autonomia provincial­e e regionale allora potremmo contribuir­e, e non poco, al dibattito nazionale e alla ricerca di risposte per non scindere definitiva­mente il Pd dal popolo democratic­o e dalla sinistra nonché per trovare una sintesi tra riformismo e bisogno di radicalità.

Non mi riferisco solo alla possibilit­à, legata alle risorse finanziari­e disponibil­i, di usare l’autonomia come ammortizza­tore sociale per ridurre l’impatto della globalizza­zione e le ingiustizi­e che purtroppo la crescita ha portato con sé. Guardo anche a quanto molte volte anche i trentini sottovalut­ano e cioè agli strumenti dell’autonomia che — combinati con le tradizioni civiche, le risorse e la ricchezza sociale — possono rappresent­are una «resistenza» e un progetto alternativ­o al semplice adeguament­o alle politiche dettate dai fondi monetari e dall’economia finanziari­a. Un’altra risposta alla ripresa dei nazionalis­mi, un’altra strada rispetto alla chiusura e un’altro modo anche di rapportars­i all’Europa.

Il riformismo moderato, e il modello fatto di crescita e welfare, non bastano più e hanno perso elettori e consensi. La dimensione di un’autonomia come progetto di comunità, la coesione sociale come antidoto a populismi e intolleran­ze, la cooperazio­ne, l’associazio­nismo e la solidariet­à come strumenti di cittadinan­za, l’innovazion­e possibile nella pubblica amministra­zione, nelle politiche per il lavoro e in quelle formative e per la salute come nella gestione del territorio possono pertanto veramente segnare la differenza. Differenza che va portata però nel dibattito politico, per farlo uscire dall’attuale sconfitta e frustrazio­ne o per impedire che si pensi, come fa Renzi, a rilanciare solo la ricetta della crescita delle opportunit­à e dell’uomo solo al comando.

Dobbiamo interpreta­rla e spenderla questa autonomia e certo la mancanza di idee mostrata nella vicenda statutaria o l’ottica angusta nella quale sembra cacciarsi il governo provincial­e non sono buoni segnali. Il Partito democratic­o dimostri di avere un’idea per il futuro della Specialità e allora sarà naturale esprimerla anche con un soggetto politico autonomo, aperto e confederat­o con il soggetto politico nazionale.

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