Il tetto ai compensi
Tra le domande epocali di questo inizio secolo credo spetti un posto d’onore al quesito: quali qualità e capacità si devono avere per guadagnare compensi milionari a fare il presentatore in televisione?
Pare che la Rai in tempi di ristrettezze per quasi tutti i cittadini — a parte i politici e i cosiddetti artisti — intenda porre il tetto dei 240.000 euro per le prestazioni in azienda: cifra che per il comune mortale non sarebbe nemmeno tanto da disagio sociale. Credo che non sia peregrina la domanda angosciante per la futilità del contenuto ma per la sostanza della risposta: perché una Clerici a presentare lasagne al forno in due anni percepisce tre milioni? Lo stesso vale per i pacchi di Insinna con 1,450 milioni o Conti con 650 mila euro per il solo Sanremo.
Una vita a predicare a figli e ora nipoti che bisogna studiare, farsi una cultura, crearsi un patrimonio intellettuale e poi basta un sorriso, un minimo di verve e la faccia tosta di porsi come indispensabili e il gioco è fatto. Vero che siamo anche qui in tempi di revisione dei titoli di studio, ma un conto è rivedere studi superiori e università e un conto è fare carriera con mezzo liceo,
quando va bene.
Abbiamo schiere di valenti ricercatori che fanno quasi la fame e abbiamo giornalisti in Tv che per il solo grattare la pancia al colto e all’inclita, da Giletti a Santoro, da Vespa all’Annunziata, guadagnano più dei medici di un intero reparto di chirurgia
cardiovascolare. La domanda rimane insoluta. Legge di mercato, è la giustificazione più vaga ma adatta a tutti gli usi e personaggi, la raccolta della pubblicità, esigenze di esclusiva. A noi tutto sta bene, o quasi, è il propagare un modello sotto culturale che rende difficoltoso sintetizzare
un’equità di trattamento tra fatiche e compensi, tra cammino di studi e cammino in via Teulada.
L’arte può e deve essere compensata, ma di fronte a certi esempi si stenta a credere che si possano definire artisti personaggi che a parte un bel sorriso e una certa scioltezza di atteggiamento non hanno molto da aggiungere alle nostre serate. Ben venga un calmiere ai compensi e poi se magari a tempo perso pensassero anche ai contenuti dei cosiddetti palinsesti non sarebbe una cattiva idea.
Rita Grisenti, TRENTO