Ateneo a secco, Zambelli incalza «Cifre sbagliate»
Il docente: «Il piano di rientro? Lecito dubitarne»
TRENTO Il piano di rientro promesso dalla Provincia all’Università non convince. Stefano Zambelli, ordinario di Economia e Management, non solo lamenta la sua mancata pubblicazione, ma anche come male si accordi con la riduzione di spesa già messa a bilancio per i prossimi anni.
Il debito della Provincia verso l’Università, a fine 2015 (ultimi dati disponibili) era di 202 milioni. Il rettore Collini, il presidente Rossi e l’assessora Ferrari hanno fornito dei chiarimenti. L’hanno convinta?
«Il problema più rilevante è l’opacità dei processi decisionali e la difficoltà di accesso alle informazioni. Quando non vi è trasparenza, i chiarimenti non sono mai né convincenti».
Cosa intende?
«Ci sono stati dei vaghi e scarsamente documentati tentativi di chiarimento da parte del presidente e del rettore attraverso dichiarazioni riportate sul vostro giornale. Il rettore ha ammesso la mancata erogazione alla quale si è fatto fronte ricorrendo per la maggior parte a risorse dell’Università, ma senza una spiegazione puntuale. L’ex rettore Bassi ha osservato che Collini “avrebbe fatto bene a denunciare prima, pubblicamente e con maggiore durezza ciò che stava avvenendo ai danni dell’ateneo”. Di risposta Collini ha reso pubblica una tabellina (terza colonna del grafico a lato, ndr). A suo giudizio, il debito si sarebbe generato per la maggior parte durante la gestione Dellai-Bassi negli anni 2010-2011, mentre durante la successiva gestione Rossi-de Pretis-Collini la mancata erogazione sarebbe stata notevolmente inferiore».
Dellai ha contestato questa ricostruzione di Collini, lei la condivide?
«Non credo si possa semplificare in questo modo. Inoltre, non è chiaro come i dati della tabellina di Collini siano generati. Ho fatto un po’ di conti utilizzando i dati ufficiali presenti nei rapporti annuali (prima colonna del grafico, ndr). Negli anni della gestione Dellai-Bassi l’ateneo ricette finanziamenti per cassa che hanno comunque permesso investimenti cospicui, superiori rispetto a quelli degli altri atenei italiani. Nel 2010 si è addirittura assistito ad un rientro del debito. La stessa cosa non è avvenuta dopo il 2011. È dal passaggio alla Provincia delle competenze sull’Università che si assiste all’esplosione del debito. Quasi tutti i finanziamenti aggiuntivi annuali di circa 30 milioni, accordati per legge, non sono stati versati».
Il 2011, però, è l’anno della stretta sul patto di stabilità.
«Rossi, Dellai, Collini e Ferrari attribuiscono la responsabilità dell’esplosione del debito al patto di stabilità. Credo che questo non sia corretto. Per la provincia di Trento il patto non stabilisce vincoli sulle singole voci di spesa. Mentre si sosteneva che mancassero i soldi per l’Università, si sono finanziate operazioni un po’ opache come Trento Rise (60-80 milioni, ndr) e l’acquisto del centro congressi alle Albere, poi trasformato in biblioteca universitaria (30 milioni, ndr). Quando l’ex rettore Bassi dice che l’Ateneo è stato usato come bancomat non ha torto. In ogni caso, ricordo che Collini, in qualità di membro del Senato accademico, ha approvato i bilanci a partire dal 2007. La sola persona che può vantare una presenza maggiore ai vertici dell’ateneo, dal 2005, è il presidente Cipolletta, il cui silenzio sconcerta».
Lei giudica realistico il piano di rientro?
«Un po’ di scetticismo è lecito. Nella delega c’è scritto che la Provincia avrebbe garantito 30 milioni l’anno che non ha mai pagato. Ci viene annunciato, senza alcun dettaglio, un piano che prevede un aumento annuale di cassa di 60 milioni. Intanto, però, il bilancio unico di ateneo per il triennio 2017-2019 prevede, per il 2018 e 2019, una riduzione della spesa di 5 milioni e dei contributi della Provincia di 7. Viste le erogazioni promesse dall’ufficioso piano di rientro, non si capisce perché il bilancio dell’ateneo preveda questa cospicua contrazione. Come i colleghi sanno bene, questa riduzione della spesa prevista per il prossimo anno si traduce già oggi nella stesura di un piano strategico decisamente più modesto rispetto a quelli del passato. Sono molto preoccupato».