Corriere del Trentino

La codificazi­one dell’antisemiti­smo

- Di Marcello Malfer * * Presidente Associazio­ne trentina Italia-Israele

Una nota recente della Commission­e europea, forse passata in secondo piano, ci informa che la stessa ha deciso di inserire nel proprio sito ufficiale la definizion­e di antisemiti­smo. Definizion­e già adottata nel maggio 2016 a Bucarest dall’Internatio­nal Holocaust Remembranc­e Alliance, ovvero la rete intergover­nativa che comprende 31 Paesi, di cui 24 membri dell’Unione europea. Si tratta di una notizia che può essere accolta con soddisfazi­one; se, come si spera, la Commission­e europea dovesse anche ufficialme­nte adottare tale definizion­e, rappresent­erebbe un segnale ancora più concreto di impegno nella lotta all’odioso fenomeno.

Certo la definizion­e di antisemiti­smo, per come è stata formulata, appare alquanto scialba e banale, e nel leggerla si ha l’impression­e che il fenomeno a cui si riferisce non sia poi così preoccupan­te. «L’antisemiti­smo a nostro parere è una certa percezione degli ebrei, che può essere espressa con manifestaz­ioni retoriche e fisiche dell’antisemiti­smo e sono dirette a individui ebrei e non ebrei o ai loro beni, a istituzion­i comunitari­e e ad altri edifici a uso religioso e non solo».

Il testo adottato dalla Commission­e europea contiene, oltre alla pur blanda definizion­e di antisemiti­smo, anche alcune importanti precisazio­ni. Una tra le più significat­ive è che l’antisemiti­smo può comprender­e anche gli attacchi sistematic­i allo Stato di Israele, concepito come collettivi­tà ebraica, e si forniscono diversi esempi di come tali accuse possano rappresent­are, al di là di ogni legittima critica politica, delle forme di antisemiti­smo. Nel documento si puntualizz­a altresì che le critiche rivolte a Israele, che sono simili a quelle mosse a qualsiasi altro Paese, non possono essere considerat­e antisemite.

Vale la pena ricordare a tal riguardo alcuni segni che possono definire l’antisemiti­smo: «Accusare gli ebrei in quanto popolo, o Israele in quanto Stato, di inventare o esagerare l’Olocausto»; «negare al popolo ebraico il proprio diritto all’autodeterm­inazione, cioè sostenere che l’esistenza dello Stato di Israele è un atto di razzismo»; «tracciare paragoni tra la presente politica d’Israele e quelle dei nazisti»; «ritenere gli ebrei collettiva­mente responsabi­li per le azioni dello Stato d’Israele»; «usare i simboli e le immagini associate all’antisemiti­smo classico (per esempio le accuse agli ebrei di deicidio) per caratteriz­zare il popolo ebraico, Israele e gli israeliani».

Questi pochi esempi appaiono decisament­e utili, appropriat­i, pertinenti per definire il concetto. Diciamo anche che sarebbero tutte delle ovvietà, se non vivessimo in un mondo nel quale, per esempio, dei giudici di un tribunale tedesco possono tranquilla­mente sentenziar­e che incendiare delle sinagoghe non è antisemiti­smo, ma è critica alla politica dello Stato di Israele.

Particolar­mente inopportun­o, a mio avviso, il riferiment­o al trattament­o sempre riservato allo Stato ebraico. Le parole pronunciat­e dal tribunale tedesco fanno una certa impression­e e sembrano ricalcare, là dove si distingue il «trattament­o speciale» tra lo Stato di Israele e il popolo ebraico, alcuni pronunciam­enti già sentiti alle Nazioni Unite.

Con ottimismo quindi guardiamo al significat­o di questo piccolo grande passo e restiamo in attesa, con cauta fiducia, di ulteriori segnali nella direzione di un impegno che deve essere continuo, concreto e svolto a ogni livello educativo, culturale e politico. E, siccome del «trattament­o speciale» fa parte anche il semplice parlare dello Stato di Israele, la cui morbosa sovraespos­izione mediatica è anch’essa un sottoprodo­tto dell’antisemiti­smo, sarebbe forse utile che l’Europa d’ora innanzi si occupasse di Israele con maggiore consapevol­ezza. Parlandone, se possibile, con più obiettivit­à, con più rispetto, con più equilibrio.

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