TROPPI PERICOLI SULLA STRADA CIRCUITO PROTETTO PER I CICLISTI
Nei giorni scorsi, casualmente, ho incontrato l’ex assessore comunale allo sport, Paolo Castelli. In quella veste Castelli aveva ragionato con me — dopo la tragica morte di Timoty Porcelli, il corridore trentino di 17 anni scontratosi con un camion sotto gli occhi del padre — sulla necessità di un circuito protetto per giovani che intraprendono l’attività di ciclisti. C’è un progetto, ancora sulla carta, che l’allora assessore aveva in animo di realizzare a sud della zona artigianale di Ravina. Oggi l’assessorato allo sport è sulle spalle di Tiziano Uez ma di quel progetto non si sente più parlare. Un errore, perché la strada si è fatta sempre più pericolosa per i ciclisti. Nonostante le piste ciclabili, l’Italia è maglia nera europea del ciclismo come mezzo di trasporto e la silenziosa bicicletta non è sufficientemente protetta per essere un’alternativa all’auto. Nel nostro Paese — fonte Istat — ci sono cinque milioni di ciclisti. Muore un ciclista al giorno (e quaranta finiscono in ospedale). Sono circa mille i morti negli ultimi tre anni. Una strage senza fine che però non impressiona più di tanto né la politica, né l’opinione pubblica. L’auto è sempre protagonista. Un triste paesaggio di lamiere viaggianti che non migliora di molto neanche con l’aumento delle ciclabili, le quali coprono 3.227 chilometri (380 in più del 2010). Se negli ultimi dieci anni i chilometri di piste ciclabili sono triplicati, la percentuale di spostamenti urbani in bicicletta è rimasta la stessa, anche se cresce nelle grandi città del nord (Ferrara, Milano, Bolzano, Roma: + 3,8% contro il 27% dell’Olanda, il 18% della Danimarca, il 12% della Svezia). Nonostante questo miglioramento, in Italia si pedala in salita. Ma non come il grande Marco Pantani, che della salita era il re. Solo otto città hanno piste ciclabili più lunghe di 100 chilometri. Ci si ostina sulle alte velocità come formula magica del trasporto (vedi Tav), ma contro l’assurda strage di ciclisti la realizzazione di percorsi ad hoc non basta più; ci vogliono circuiti protetti per permettere (almeno) ai più giovani di allenarsi senza rischi. Ci sono i campi di calcio, pallavolo o basket, le piste di atletica, le piscine: perché, allora, non deve esistere un percorso protetto per i ciclisti dove potersi allenare senza correre il rischio di morire?