Corriere del Trentino

Operazioni di calcolo, studio sui circuiti nervosi

Vallortiga­ra guida un progetto di ricerca con finanziame­nto triennale. «Aiuteremo così chi ha problemi»

- Silvia Pagliuca

TRENTO E se essere bravi in matematica fosse questione di dna? A indagare la natura genetica della capacità numerica è il neuroscien­ziato Giorgio Vallortiga­ra, prorettore alla ricerca dell’università di Trento nonché professore del Centro Interdipar­timentale Mente/Cervello (Cimec) che ha appena vinto un finanziame­nto da 350.000 dollari l’anno per tre anni da parte dell’Internatio­nal Human Frontier Science Program Organizati­on. Un riconoscim­ento importante, arrivato a seguito di una selezione serrata (solo 30 i progetti premiati sui 1.073 presentati da 60 Paesi in tutto il mondo), per una ricerca considerat­a «di frontiera» sui mecstrato canismi complessi che regolano gli organismi viventi.

Insieme alla genetista Caroline Brennan del Dipartimen­to di Scienze biologiche e chimiche della Queen Mary University di Londra e al fisico Scott Fraser del Dipartimen­to di Ingegneria biomedica della University of Southern California di Los Angeles, Vallortiga­ra nel centro di eccellenza trentino, sta lavorando per comprender­e come i geni influenzin­o il nostro modo di usare numeri, contare e stimare le quantità, con l’obiettivo di intervenir­e, nel lungo periodo, sui disturbi nella cognizione dei numeri, come l’acalculia e la discalculi­a.

«Gli studi ci hanno dimo- che esiste un nesso diretto e sorprenden­te tra il senso del numero, presente già nei bambini in età prescolare, e la loro capacità successiva di apprendere discipline matematich­e. Ma vogliamo sapere di più: speriamo di individuar­e i circuiti nervosi che presiedono alla capacità di fare calcolo per aiutare chi è affetto da disturbi che rendono estremamen­te difficile la risoluzion­e di calcoli anche piuttosto semplici, nonché la misurazion­e delle lunghezze o la durata del tempo» spiega Vallortiga­ra.

Lo studio, che vedrà l’assunzione nel team del Cimec di due post-doc, potrebbe dunque essere rivoluzion­ario. L’ipotesi che guida la ricerca, infatti, indica l’abilità alla numerosità come frutto di un’esperienza primaria, una sorta di categoria aprioristi­ca che con la crescita e con l’esperienza scolastica viene richiamata e rafforzata. Ma se questa dote innata di stima delle quantità è danneggiat­a a livello genetico, ecco che si manifestan­o i disturbi. Inoltre, come evidenziat­o dagli studi, la numerosità è una capacità che gli uomini condividon­o con molti altri esseri viventi, primi tra tutti i vertebrati. Scimmie, pulcini, pesci. Per questo, protagonis­ta dello studio è il pesce zebra: «È un esemplare che si presta bene a questo genere di ricerche perché in fase larvale è trasparent­e, dunque i suoi organi sono molto visibili e si possono effettuare tecniche di editing genetico. Senza contare che dello zebra fish è stato già sequenziat­o il genoma, è facile da allevare e non ha un costo elevato» rileva il professore, precisando che l’abilità di stimare le quantità si sarebbe conservata attraverso l’evoluzione, anche se sono ancora sconosciut­i i meccanismi cellulari che la sorreggono. Non resta perciò che attendere che il «senso del numero» si disveli completame­nti, anche in ottica terapeutic­a.

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Prorettore Giorgio Vallortiga­ra

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