Operazioni di calcolo, studio sui circuiti nervosi
Vallortigara guida un progetto di ricerca con finanziamento triennale. «Aiuteremo così chi ha problemi»
TRENTO E se essere bravi in matematica fosse questione di dna? A indagare la natura genetica della capacità numerica è il neuroscienziato Giorgio Vallortigara, prorettore alla ricerca dell’università di Trento nonché professore del Centro Interdipartimentale Mente/Cervello (Cimec) che ha appena vinto un finanziamento da 350.000 dollari l’anno per tre anni da parte dell’International Human Frontier Science Program Organization. Un riconoscimento importante, arrivato a seguito di una selezione serrata (solo 30 i progetti premiati sui 1.073 presentati da 60 Paesi in tutto il mondo), per una ricerca considerata «di frontiera» sui mecstrato canismi complessi che regolano gli organismi viventi.
Insieme alla genetista Caroline Brennan del Dipartimento di Scienze biologiche e chimiche della Queen Mary University di Londra e al fisico Scott Fraser del Dipartimento di Ingegneria biomedica della University of Southern California di Los Angeles, Vallortigara nel centro di eccellenza trentino, sta lavorando per comprendere come i geni influenzino il nostro modo di usare numeri, contare e stimare le quantità, con l’obiettivo di intervenire, nel lungo periodo, sui disturbi nella cognizione dei numeri, come l’acalculia e la discalculia.
«Gli studi ci hanno dimo- che esiste un nesso diretto e sorprendente tra il senso del numero, presente già nei bambini in età prescolare, e la loro capacità successiva di apprendere discipline matematiche. Ma vogliamo sapere di più: speriamo di individuare i circuiti nervosi che presiedono alla capacità di fare calcolo per aiutare chi è affetto da disturbi che rendono estremamente difficile la risoluzione di calcoli anche piuttosto semplici, nonché la misurazione delle lunghezze o la durata del tempo» spiega Vallortigara.
Lo studio, che vedrà l’assunzione nel team del Cimec di due post-doc, potrebbe dunque essere rivoluzionario. L’ipotesi che guida la ricerca, infatti, indica l’abilità alla numerosità come frutto di un’esperienza primaria, una sorta di categoria aprioristica che con la crescita e con l’esperienza scolastica viene richiamata e rafforzata. Ma se questa dote innata di stima delle quantità è danneggiata a livello genetico, ecco che si manifestano i disturbi. Inoltre, come evidenziato dagli studi, la numerosità è una capacità che gli uomini condividono con molti altri esseri viventi, primi tra tutti i vertebrati. Scimmie, pulcini, pesci. Per questo, protagonista dello studio è il pesce zebra: «È un esemplare che si presta bene a questo genere di ricerche perché in fase larvale è trasparente, dunque i suoi organi sono molto visibili e si possono effettuare tecniche di editing genetico. Senza contare che dello zebra fish è stato già sequenziato il genoma, è facile da allevare e non ha un costo elevato» rileva il professore, precisando che l’abilità di stimare le quantità si sarebbe conservata attraverso l’evoluzione, anche se sono ancora sconosciuti i meccanismi cellulari che la sorreggono. Non resta perciò che attendere che il «senso del numero» si disveli completamenti, anche in ottica terapeutica.