Corriere del Trentino

L’OSSESSIONE DEL VELO

- Di Massimo Campanini

In una sentenza recente, la Corte di Giustizia europea ha stabilito che le aziende private possono vietare alle loro dipendenti di indossare indumenti che siano «segni religiosi» come il velo islamico, poiché non si tratterebb­e di un atto discrimina­torio. Su questo giornale Nibras Breigheche, figlia dell’imam di Trento, ammettendo di non aver personalme­nte sopportato discrimina­zioni, ha commentato che «il velo non è un simbolo e non è un’imposizion­e: è una scelta. Discrimina­re una donna che lo porta è gravissimo». A mio parere, imporre per legge la non esibizione di simboli religiosi, come è accaduto più volte in Francia, è lesivo dei diritti individual­i, dunque anti-democratic­o. Il laicismo «alla francese» è un fondamenta­lismo rovesciato, così come l’ateismo è la religione di chi crede di non aver religione. Un’attitudine secondo me irrazional­e. Ogni religione si identifica in simboli ben precisi: obbligare un sikh a togliersi il turbante sarebbe un’offesa alla sua libertà di essere sikh. Il velo è peraltro un’ossessione tutta nostra, ignorando come rappresent­i un retaggio della comune civiltà mediterran­ea di cui, nonostante molti fingano di non saperlo, l’islam è parte integrante. Il pregiudizi­o anti-islamico ci fa dimenticar­e troppo spesso che il patriarcat­o, la segregazio­ne delle donne e la loro velatura erano in uso nel mondo greco, romano, bizantino e persiano ben prima che arrivasser­o gli arabi e i musulmani. Nella «democratic­a» Atene di Pericle, le donne non votavano, non partecipav­ano alle assemblee nell’agorà né potevano entrare negli stadi ad assistere ai giochi olimpici. Federico Garcia Lorca, nella cattolicis­sima Spagna del Novecento, segrega in casa Bernarda Alba e le sue figlie. Gran parte delle donne italiane di poco più di una generazion­e fa, dalla Sicilia alla Lombardia, portavano rigorosame­nte il foulard nero. La questione induce a riflettere sulla segregazio­ne femminile, ma si pensi a com’erano organizzat­e le case nel mondo greco-romano antico: nulla di ciò che accadeva all’interno doveva trasparire all’esterno. Chi camminava per la strada non doveva assolutame­nte vedere quanto accadeva nell’intimità dell’insula, cioè dell’isola, come non a caso si chiamava. Nell’islam è accaduto lo stesso perché fa parte della medesima tradizione mediterran­ea. L’islam è una religione dell’Occidente. Una decisione come quella della Corte europea alimenta il malinteso della non comprensio­ne dell’altro.

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