L’OSSESSIONE DEL VELO
In una sentenza recente, la Corte di Giustizia europea ha stabilito che le aziende private possono vietare alle loro dipendenti di indossare indumenti che siano «segni religiosi» come il velo islamico, poiché non si tratterebbe di un atto discriminatorio. Su questo giornale Nibras Breigheche, figlia dell’imam di Trento, ammettendo di non aver personalmente sopportato discriminazioni, ha commentato che «il velo non è un simbolo e non è un’imposizione: è una scelta. Discriminare una donna che lo porta è gravissimo». A mio parere, imporre per legge la non esibizione di simboli religiosi, come è accaduto più volte in Francia, è lesivo dei diritti individuali, dunque anti-democratico. Il laicismo «alla francese» è un fondamentalismo rovesciato, così come l’ateismo è la religione di chi crede di non aver religione. Un’attitudine secondo me irrazionale. Ogni religione si identifica in simboli ben precisi: obbligare un sikh a togliersi il turbante sarebbe un’offesa alla sua libertà di essere sikh. Il velo è peraltro un’ossessione tutta nostra, ignorando come rappresenti un retaggio della comune civiltà mediterranea di cui, nonostante molti fingano di non saperlo, l’islam è parte integrante. Il pregiudizio anti-islamico ci fa dimenticare troppo spesso che il patriarcato, la segregazione delle donne e la loro velatura erano in uso nel mondo greco, romano, bizantino e persiano ben prima che arrivassero gli arabi e i musulmani. Nella «democratica» Atene di Pericle, le donne non votavano, non partecipavano alle assemblee nell’agorà né potevano entrare negli stadi ad assistere ai giochi olimpici. Federico Garcia Lorca, nella cattolicissima Spagna del Novecento, segrega in casa Bernarda Alba e le sue figlie. Gran parte delle donne italiane di poco più di una generazione fa, dalla Sicilia alla Lombardia, portavano rigorosamente il foulard nero. La questione induce a riflettere sulla segregazione femminile, ma si pensi a com’erano organizzate le case nel mondo greco-romano antico: nulla di ciò che accadeva all’interno doveva trasparire all’esterno. Chi camminava per la strada non doveva assolutamente vedere quanto accadeva nell’intimità dell’insula, cioè dell’isola, come non a caso si chiamava. Nell’islam è accaduto lo stesso perché fa parte della medesima tradizione mediterranea. L’islam è una religione dell’Occidente. Una decisione come quella della Corte europea alimenta il malinteso della non comprensione dell’altro.