Gli alberi e i tagli
Scrivo queste poche righe a commento della lettera della signora Cappelletti pubblicata oggi. Anzitutto concordo pienamente con la signora Cappelletti che «le piante per la città sono un bene prezioso, merce sempre più rara, da tutelare». Ringrazio poi Luca Malossini che ha sottolineato lo sforzo comunicativo che l’amministrazione sta compiendo e che ritengo un dovere morale da parte di chi amministra il bene pubblico. Mi permetto però di correggere una frase della signora quando asserisce che «quando si deve abbattere qualcosa non ha funzionato nella manutenzione». Non è così.
Semplicemente perché le azioni di manutenzione non possono garantire la sopravvivenza di un organismo biologico e quindi non è corretto misurarne le performance sulla base del suo mantenimento. Gli alberi in città sono sottoposti a stress per noi difficilmente immaginabili che ne riducono l’arco potenziale di vita; inoltre debbono mantenersi entro una certa soglia di pericolo perché i potenziali target in caso di sinistro siamo noi.
Decenni fa si eseguivano sugli
alberi di tutte le città del mondo grandi tagli di rami e branche derivando il sapere da una cultura contadina che, giustamente, recitava «tanto poi ricresce». Da poche decine di anni si sono sviluppate discipline e scienze dedicate alla cura e alla biologia dell’albero in
città e si è scoperto che quegli interventi di potatura erano un fattore predisponente alla carie del legno e quindi ai cedimenti degli alberi. E si è smesso di eseguire quei tagli. In primis qui a Trento. Oggi manteniamo in città piante sane e piante che pur presentando dei difetti sono
stimate compatibili con la presenza dell’uomo e dei manufatti; se volessimo solo alberi perfetti ne avremmo poche centinaia a fronte dei circa 20.000 che compongono il nostro patrimonio arboreo.
Concludendo le piante si abbattono perché in città non è possibile aspettare che crollino naturalmente, e buona parte dei difetti che oggi ci troviamo a gestire sono il frutto di un cammino di sapere e di conoscenza che è tuttora in divenire.
Giovanni Mastrandrea,