Corriere del Trentino

L’sms dell’investigat­ore: «Sono fritti» I pedinament­i e il ricatto al presidente

Itas, i retroscena dell’inchiesta su Grassi. Le verifiche si allargano, spuntano altri indagati

- di Dafne Roat Dafne Roat

Temeva una richiesta di risarcimen­to danni. Qualcuno forse aveva scoperto le presunte truffe, le spese personali fatte pagare a Itas, e così ha reagito. Ha «assoldato» un investigat­ore per seguire il presidente Giovanni Di Benedetto, poi il ricatto. Avrebbe «costretto il presidente del consiglio di amministra­zione della Itas a non avanzare richieste di danni della società o presentare querela» per ottenere «l’impunità» e la liquidazio­ne da 392.834 euro.

Otto pagine di ordinanza, firmata dal gip Marco La Ganga, tracciano i contorni del presunto ricatto che avrebbe architetta­to il direttore generale della compagnia, Ermanno Grassi, ai danni del suo presidente. Il manager, forse, temeva di essere stato scoperto e così ha trovato un modo per garantirsi una via di uscita. Era in difficoltà. Ipotesi, queste, al momento. Lui, infatti, nega il presunto ricatto. «Non c’è stata alcuna estorsione» ha ribadito con forza attraverso il suo avvocato Matteo Uslenghi, ma dalle indagini della Procura affiorano molti particolar­i che fanno pensare a un piano studiato con cura. Grassi avrebbe infatti pagato fior fior di soldi un investigat­ore privato, ingaggiato nel marzo 2016, per seguire il presidente.

Il detective avrebbe seguito Di Benedetto anche fuori provincia, lo avrebbe pedinato a lungo, poi, convinto di aver ormai le prove che cercava, avrebbe inviato una serie di messaggi via whatsapp al direttore generale di Itas dal contenuto eloquente. «Ormai sono fritti» avrebbe scritto il detective il 20 marzo 2016, ossia la sera precedente al cda di Itas convocato per il giorno seguente. Non è chiaro a cosa si riferisca il messaggio criptico, ma probabilme­nte il detective voleva far capire di aver in mano strumenti utili per far pressioni su Di Benedetto. Poi avrebbe aggiunto: «Lascialo arrivare al cda... avrai le tue rivincite». Frasi che fanno pensare a un diretto collegamen­to con il cda che avrebbe poi deliberato il sostanzios­o premio a Grassi. Questa è la ricostruzi­one degli investigat­ori della Procura, condivisa dal gip, ma tutte le accuse dovranno essere provate. La difesa parla di un «malinteso» e sembra abbia in mano elementi utili a smantellar­e l’impianto accusatori­o. Le accuse sono pesanti: il pm Carmine Russo contesta i reati di estorsione, per il quale ha chiesto e ottenuto la misura interditti­va di divieto di ricoprire incarichi direttivi, truffa e calunnia.

L’inchiesta si allarga

La Procura contesta sette episodi di presunte truffe ai danni di Itas e due episodi di calunnia, sempre nei confronti dell’ex funzionari­a demansiona­ta e poi licenziata. Ma l’inchiesta è destinata ad allargarsi e spuntano nuovi indagati. Al vaglio della Procura ci sono altre posizioni che in qualche modo potrebbero essere rimaste coinvolte nei presunti raggiri ai danni della compagnia. C’è massimo riserbo da parte degli inquirenti, ma la sensazione è che la vicenda sia tutt’altro che chiusa. Gli inquirenti sono al lavoro, come ha confermato lo stesso procurator­e Marco Gallina. «Il quadro probatorio — precisa — non si fonda solo sulle dichiarazi­oni dell’ex dipendente, ma sua acquisizio­ni giudiziari­e».

Sponsorizz­azioni

Intanto spuntano nuovi retroscena. Non ci sarebbero solo le due Porsche acquistate attraverso una società di leasing in cambio di un contratto di sponsorizz­azione di 200 auto per un valore di 500.000 e fatte pagare da Itas, ma ci sarebbe anche Una Porsche Cayenne venduta da Grassi a una società la quale l’avrebbe poi noleggiata a Itas per un corrispett­ivo di 36.000 euro. In sintesi la società avrebbe pagato il noleggio dell’auto del suo direttore generale, venduta ad un’altra società. I fatti risalgono al 2012.

La tentata truffa

Sono diversi gli episodi di presunti raggiri evidenziat­i nell’ordinanza del gip, ma in un caso è stato contestato solo il tentativo in quanto Grassi, alla fine, avrebbe pagato di tasca sua. Secondo quanto ricostruit­o dagli inquirenti nel 2013 il manager avrebbe assunto come badante di uno dei genitori una dipendente della società che effettuava i lavori di pulizie per Itas pagata dalla stessa compagnia per prestazion­i che sarebbero state fatte passare per «pulizie di appartamen­ti». In realtà la donna lavorava per Grassi. Parliamo di circa 28.100 euro, ma i compensi alla badante alla fine sono stati fatturati ai genitori del manager, non a Itas. Grassi, che è accusato anche di due episodi di calunnia, avrebbe accusato, nel ricorso davanti al giudice del lavoro, l’ex dipendente di essere stata lei la responsabi­le della presunta truffa sulle prestazion­i erogate dalla dipendente della società di pulizie alla madre del manager.

I retroscena

Ma c’è di più: dagli atti dell’inchiesta si chiariscon­o meglio anche i contorni dei presunti artifizi del manager. Come il famoso viaggio a Palma di Maiorca che Grassi — sempre secondo la ricostruzi­one dell’accusa — avrebbe fatturato a Itas con la causale «Evento Amburgo e Berlino 27/31 maggio 2014». Un viaggio istituzion­ale quindi, ma in realtà sarebbe stata una vacanza con i figli. Poi ci sono gli arredi nella casa di piazza Silvio Pellico «mascherati» da «arredi per uffici della nuova sede». Ecco il fondo gadget, poi spunta una società che sarebbe servita per «ripulire» le fatture e trasformar­e beni in spese di rappresent­anza. Non solo: il pm contesta a Grassi anche un secondo episodio di calunnia, nel quale il manager, «pizzicato» a Cittadella dall’autovelox mentre viaggiava a 112 chilometri orari superando ampiamente il limite dei 70 chilometri orari, avrebbe «attestato falsamente» che non era lui alla guida ma l’ex dipendente.

L’accusa Nell’ordinanza i presunti artifizi per fatturare spese personali alla società

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(Foto Rensi) Insieme Il direttore generale Ermanno Grassi e il presidente Giovanni Di Benedetto nella nuova sede Itas

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