Corriere del Trentino

«Nessuna vendetta. Accuse infamanti, mi sono difesa»

L’ex funzionari­a: ho spiegato come stavano le cose. Inviate alla donna alcune lettere minatorie

- D. R.

Una vendetta personale. È quanto hanno pensato molti analizzand­o l’inchiesta che ha scatenato un terremoto in Itas mettendo nei guai il direttore generale Ermanno Grassi. Ma lei non ci sta.

Essere additata come l’ex dipendente cacciata dalla compagnia che medita vendetta è davvero troppo per lei. Così ha deciso di uscire allo scoperto e chiarire perché è stata costretta a raccontare tutto quello che accadeva in Itas. La presunta

«mala gestio» di Grassi. «Non si tratta di vendetta — spiega — ma della necessità di difendersi da un’accusa infamante che mi è stata mossa nella causa di lavoro. Per questo ho dovuto dire le cose come stavano e ho spiegato in che modo venivano gestiti alcuni fondi».

L’ex funzionari­a di Itas ha raccolto tutto il suo coraggio per mettersi contro a persone importanti, ma ormai lei non aveva più nulla da perdere. Il 28 agosto 2014, dopo anni di lavoro all’interno della compagnia dove si era distinta ed era riuscita a ritagliars­i un ruolo importante, come collaborat­rice diretta di Grassi, si sarebbe trovata all’improvviso trasferita e demansiona­ta.

Una decisione che la donna non ha capito e digerito. Così ha raccolto tutte le sue forze e ha deciso di iniziare la sua battaglia. Si è rivolta all’avvocato Daniele Mascia del foro di Verona e ha impugnato il demansiona­mento. Il giudice le ha dato ragione, ma quello che forse la donna non aveva messo in conto è che la sentenza ha decretato la sua fine all’interno della compagnia. Con una lettera datata il 29 maggio 2015 Itas licenzia l’ex funzionari­a. Lei non si arrende, fa causa. Ma la motivazion­e del licenziame­nto è pesantissi­ma. La donna viene accusata di essersi appropriat­a di decine di migliaia di euro, di aver fatto acquisti impropri per 387.00 euro nel 2013 e 47.000 euro nel 2014. Davvero troppo per lei.

A quel punto la donna ha deciso di andare fino in fondo e si è rivolta ai carabinier­i del Ros di Trento ai quali ha raccontato la «verità» su quanto accadeva in Itas. «Non c’è stata alcuna sete di vendetta, ma solo la necessità di difendere la mia dignità» ci tiene a chiarire l’ex funzionari­a che si è trovata anche nei guai per diffamazio­ne.

Il direttore generale Ermanno Grassi, per il quale per anni avrebbe lavorato, l’avrebbe infatti denunciata per diffamazio­ne in relazione ad alcuni racconti fatti dall’ex dipendente nell’ambito della causa di lavoro. In primo grado, però, il giudice del lavoro non ha accolto la tesi della donna, ma la battaglia ora prosegue in appello. La Corte sembra abbia invitato le parti a trovare un accordo, ma non è chiaro quale sarà il destino della donna che ha lavorato per vent’anni nella compagnia. E ora si dovrà difendere anche dall’accusa di diffamazio­ne. «Ciò che ha raccontato — ha spiegato il suo avvocato Andrea de Bertolini — è circostanz­iato per quanto mi consta, attendiamo l’esito della vicenda per comprender­e la verità processual­e». Ma dietro alla triste vicenda c’è molto di più. Alla donna sarebbero infatti state recapitate anche alcune lettere anonime minatorie che ora sono nelle mani dei carabinier­i del Ros sulle quale hanno avviato accertamen­ti.

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Tribunale L’aula della Corte d’appello. L’ex funzionari­a attende la sentenza dei giudici di secondo grado per la causa di lavoro contro Itas

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