Di Benedetto chiamò il Ros Temeva di avere cimici in ufficio
Itas, nuovi retroscena. Due dipendenti rimossi, per Grassi sapevano troppo
Il numero uno di Itas temeva di essere spiato sul luogo di lavoro, nel suo ufficio. E avrebbe chiesto ai carabinieri di intervenire per bonificare la sua stanza. È il nuovo retroscena che emerge nella vicenda che vede l’ex direttore generale di Itas Ermanno Grassi indagato per estorsione ai danni del presidente Giovanni Di Benedetto.
La ricerca di cimici
Un’estorsione messa in atto nei confronti del numero uno della realtà assicurativa. Con l’ex direttore generale che avrebbe fatto seguire il presidente da un investigatore privato per poi ricattarlo forse utilizzando vicende personali. Questo il quadro di un’indagine che vede Grassi indagato anche per truffa e calunnia. Un’inchiesta che, è bene ricordarlo, è ancora in corso e in cui le pesanti accuse contestate all’ex direttore generale sono ovviamente ancora tutte da provare. Una vicenda in cui lui nega, il presunto ricatto. Lo ha ribadito con forza attraverso il suo avvocato Matteo Uslenghi.
Un quadro che, secondo le indagini della Procura coordinate dal pm Carmine Russo (che, in relazione all’accusa di una presunta estorsione, ha chiesto e ottenuto negli scorsi giorni una misura interdittiva di divieto di ricoprire incarichi direttivi) avrebbe visto il presidente del gruppo, Giovanni Di Benedetto, ricattato.
Il numero uno non si sarebbe, secondo i contorni tracciati dalle indagini (ma anche in questo caso il condizionale è d’obbligo), sentito sicuro sul posto di lavoro. Tanto da spingersi a cercare un intervento dei carabinieri. Avrebbe chiesto ai militari del Ros di mettere in atto un’azione di bonifica nella sua stanza sul luogo di lavoro. Di controllare se vi fosse la presenza di eventuali microspie nella paura che Ermanno Grassi potesse averle fatte mettere nel suo ufficio. Un comportamento, questo, che secondo gli inquirenti andrebbe a conferma del presunto quadro ricattatorio che sarebbe stato messo in atto ai danni del numero uno di Itas. Un quadro ricattatorio che, come già ricordato, secondo le indagini sarebbe stato messo in atto anche tramite l’ingaggio di un investigatore privato.
Un quadro rispetto al quale nelle scorse ore, affidando la propria posizione a una nota ufficiale del gruppo, il presidente Di Benedetto ha fatto sapere di non ritenersi ricattabile: «Se qualcuno mi ha “seguito” — ha affermato il presidente — si sarà accorto che cammino con i piedi per terra, schiena dritta e fronte alta. Conseguentemente ogni illazione su ogni mia presunta “ricattabilità” è destituita di fondamento». Quindi, nella nota che ricorda la posizione di parte lesa di Itas, il presidente invita a «voltare pagina».
Pressioni
Ad ampliare il quadro legato alla vicenda che negli scorsi giorni ha già visto le dimissioni dell’ex direttore generale Grassi, emerge poi un nuovo retroscena legato alle accuse di presunte truffe. Sette sono quelle contestate dalla Procura all’ex direttore generale, ai danni dell’Itas. Tra queste vi sarebbe quella legata ai lavori di ristrutturazione del suo appartamento, un attico di proprietà di Itas in centro, che Grassi avrebbe in affitto e che avrebbe (questa secondo gli inquirenti, ma le ipotesi sono tutte da verificare) fatto ristrutturare con una spesa che supererebbe (tra ristrutturazione ed arredo) i 600.000 euro, ma che sarebbe però stata fatta figurare per un altro immobile. Ma in merito avrebbero iniziato a girare alcune voci. che avrebbero portato Grassi a esercitare delle pressioni su due dipendenti di Itas. In un caso sarebbero state chieste informazioni in merito. Altrimenti qualcuno ne avrebbe potuto «fare le spese». Qualche tempo dopo l’episodio i due dipendenti presunte vittime di pressioni sarebbero stati rimossi dai loro compiti per essere assegnati ad altre mansioni. Su tutta la vicenda c’è massimo riserbo da parte degli inquirenti, ma la sensazione è che la vicenda sia tutt’altro che chiusa. Gli inquirenti sono al lavoro per cercare di ricostruirla.