La sopravvivenza del popolo ebraico fonda le radici nella cena pasquale
Nell’attuale periodo il cristianesimo e l’ebraismo celebrano la ricorrenza del rito pasquale. Per entrambe le fedi, la resurrezione riveste simboli di alto contenuto spirituale, ma anche materiale. In particolare, nel rito della Pasqua ebraica si possono trovare i motivi per capire quello che a tutt’oggi risulta essere il più evidente, e probabilmente una delle ragioni che pongono il popolo di Abramo all’attenzione del mondo, non sempre disposto ad accettarne l’esistenza. Questa arcaica ma attualissima tribolazione del popolo ebraico affonda le radici nella sua stessa capacità di sopravvivenza religiosa,culturale e politica senza pari nel mondo. Ma dove derivano tale capacità e la forza di superare tutte le persecuzioni e le oppressioni? La risposta potrebbe essere cercata in due momenti: nell’accettazione del patto del Sinai e nella cultura di quel popolo.
Per capire più a fondo le ragioni della sua sopravvivenza si può guardare con attenzione alla cerimonia che unisce gli ebrei di tutto il mondo e che da circa tremila anni rappresenta il più alto momento di comunione: si tratta del Seder,la Pasqua ebraica, che significa ordine, successione, regola. In particolare il Seder si può ulteriormente identificare nella ricorrenza più specifica di Pesach che, parallelamente alla tradizione cristiana, rielabora la cerimonia dell’ultima cena. Una cena speciale, ricca di simbolismi, intercalata da letture di testi, canti e atti rituali, il cui senso è di richiamare alla memoria la fondazione del popolo ebraico identificata con «l’esodo», l’uscita dall’Egitto. Vedere con lucidità le proprie origini ammettendo la violenza che è stata necessaria per liberarsi, prevedere che la libertà e la pace saranno messe in pericolo per ogni generazione sono atti di straordinario coraggio intellettuale e religioso, ma sono pure la premessa per fare della festa un passaggio che porta alla consapevolezza del dolore; alla disposizione all’azione, al ricordo della liberazione passata; alla resistenza religiosa e culturale che è la vera forza che ha consentito la continuità millenaria dell’ebraismo. «Ieri eravamo schiavi, oggi siamo liberi; oggi siamo qui, l’anno prossimo saremo liberi in terra di Israele»: sono le prime parole della narrazione che è recitata nella cena pasquale. La conclusione, dopo un lungo percorso emotivo, rituale e gastronomico, ribadisce l’invocazione «l’anno prossimo a Gerusalemme».
Da settant’anni, da quando il popolo ebraico è tornato libero nella propria terra, quella promessa è seguita dall’inno nazionale, l’Hatikva, che fin dal nome «la speranza» allude proprio a un simile impegno. Chiunque si illuda di separare gli ebrei da Gerusalemme dovrebbe pensare a questa strana cena, fare attenzione a ciò che avviene. Perché in essa si celebra la coincidenza dell’identità, della «Rivelazione» che la ispira, dell’appartenenza a quel luogo. Il popolo di Israele si forma nell’ascolto, tutt’altro che facile, di una divinità ancestrale e compassionevole, ma nello stesso tempo in direzione della terra che tale divinità gli dona. Pur nella minaccia di un antisemitismo che si riaffaccia a ogni generazione e dell’odio che i suoi nemici gli portano, il segreto della sopravvivenza del popolo ebraico è tutto qui, in una cena pasquale che ricorda ordine, senso, direzione, entità.